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La figlia di Angela Merkel e François Hollande

Creato il 07 dicembre 2015 da Keynesblog @keynesblog

La figlia di Angela Merkel e François Hollande

Dicono che chi è sazio non può capire chi è affamato; io aggiungo che un affamato non capisce un altro affamato.

Fedor Dostoevskij, da “Umiliati e offesi”

Il voto di ieri in Francia che ha visto il Front National di Marine Le Pen affermarsi come primo partito a livello nazionale e conquistare il primo posto in quasi la metà delle regioni, è il risultato di una lunga sequela di errori da parte del presidente francese François Hollande. Errori iniziati già all’inizio del suo mandato quando, dopo una campagna elettorale condotta all’insegna del cambiamento dei rapporti di forza tra Germania e Francia, con la proposta di revisione dei trattati europei, il presidente francese si recò a Berlino per rendere omaggio alla Cancelliera Angela Merkel, promettendole eterna ubbidienza. Poco tempo dopo la Francia ratificò il Fiscal Compact.

Sì, è vero che nel voto francese non c’è solo euroscetticismo e il tradizionale revanscismo francese, affiorato a più rispese negli ultimi decenni, sin dalla risicatissima vittoria del referendum sul Trattato di Maastricht, passando per la bocciatura di quello sulla Costituzione europea e arrivando al voto di ieri. C’è in questo voto la paura del terrorismo e c’è la paura dell’immigrazione che – così pare a molti, anche se non è del tutto vero, come dimostrano le ricerche empiriche – mette i poveri francesi in concorrenza con i poveri che vengono dal resto del mondo. 

Ma a ben vedere tutte queste contraddizioni secondarie, per usare un’espressione della tradizione marxista, fanno capo a quella principale, che nel caso della Francia e dell’Europa è costituita dalla perdurante crisi economica con elevati tassi di disoccupazione, mentre i partiti tradizionali appaiono (e sono) distanti ed inutili.

I “perdenti della globalizzazione” stanno facendo la differenza. E così negli anni sono cresciute in Europa le forze antiausterità. A volte esse hanno tratti progressisti e spesso non pregiudizialmente antieuropei, come in Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. In altri casi, invece, il malcontento è stato intercettato dalle forze di estrema destra, palesemente contrarie all’Europa in quanto tale, come in Francia e in parte in Italia. Non a caso questo accade più facilmente dove il centrosinistra è al governo, poiché esso viene percepito (ed è, in effetti) parte del problema e non della soluzione. Il socialismo europeo si è reso praticamente indistinguibile dal partito dell’austerità e in qualche caso ne esprime addirittura la prima linea: Jeroen Dijsselbloem, presidente di quell’Eurogruppo dove la Grecia è stata sottoposta ad una vera e propria tortura fiscale, è un esponente del Partito del Lavoro olandese. Questa deriva liberista e austeriana del socialismo europeo, peraltro, non è una caratteristica limitata all’eurozona, se si pensa ad esempio al Labour Party britannico, solo recentemente passato di mano ad un leader di sinistra.

Se il FN è arrivato primo e il Partito Socialista solo terzo, non c’è quindi motivo di stupirsi. Marine Le Pen è figlia degli errori di Hollande ed Angela Merkel. Così come in Italia l’ascesa della Lega è figlia degli errori del PD: l’appoggio al governo Monti prima e ora la timidezza del governo presieduto da Matteo Renzi, che pur rendendosi forse conto del cappio costituito dall’austerità europea, non sembra abbastanza determinato ad agire contro di essa, ed anzi si dice convinto che la strada della ripresa passi dalle riforme strutturali.

Ora bisognerebbe riparare, ma c’è poco da sperare. Comunque, per farlo, a ben poco serviranno le buone parole pro-immigrati, la retorica laica o cristiana dell’accoglienza del diverso e cose del genere, le quali pure esprimono nobili sentimenti, che però vengono spazzati via in un battibaleno quando il padrone di casa bussa per l’affitto e tu sei disoccupato. Se si vuole combattere il pericolo delle destre nazionaliste, l’unico rimedio efficace è combattere la disoccupazione come si combatterebbe una guerra (ma non per questo combattendo una vera guerra). 

Un grande liberale, William Beveridge, scrisse una volta:

Fin tanto che la disoccupazione cronica di massa sembrerà possibile, ogni uomo apparirà come nemico dei suoi compagni nella lotta per avere un posto. Da questa lotta sono favorite molte manifestazioni ancora più spiacevoli: l’odio contro gli stranieri, l’odio contro gli ebrei, l’inimicizia fra i sessi. Il mancato impiego delle nostre forze produttive è la fonte di una serie interminabile di mali. Quando questo mancato impiego sarà stato eliminato, sarà aperta la via a un progresso concorde senza la paura.

Se si vuole fermare l’ondata della destra nazionalista in Europa c’è un’unica via: dichiarare che la disoccupazione è un male maggiore del deficit di bilancio e agire di conseguenza. La tecnocrazia europea si lamenterebbe, il dottor Schaueble minaccerebbe, ma di fronte a due grandi paesi come Francia e Italia non ci sarebbe molto da fare. Purtroppo ci sono poche speranze che ciò accada. In caso contrario è difficile escludere che la destra nazionalista giunga al potere in un paese decisivo e metta in atto le sue funeste promesse. 


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