La filosofia del “Bombay Brasserie”.

Da Lilianaadamo

di Liliana Adamo

Per alcuni ristoranti di tendenza, la nuova filosofia è multiculturale, ethnic e particolarmente cara, anche se si tratta di servire curry.

Il “Samundari Khazana” o “Tesoro del Mare” non è un semplice piatto a base di curry. Per The Bombay Brasserie, ristorante indiano situato a Courtfield Road nel pieno centro di Londra, l’allestimento include: caviale Beluga, lumache di mare, un’intera aragosta e oro commestibile, mentre la spezia si aggiunge dopo un’infusione in chili, salsa di tamarindo e una spruzzata di tartufo.

Accompagnato da risotto allo zafferano e servito con champagne, il suo costo si aggira intorno ai 3.300 dollari, eguagliando un record, quello del curry più costoso al mondo.

Eppure, la filosofia approntata dal “Brasserie” non è così appariscente e perciò inclusiva di “luoghi comuni” secondo un ordinario ritrovo gourmet di lusso, le cui stravaganti prelibatezze sono riservate a pochi, facoltosi clienti. Se l’interior design, tout court, comunica un magnetismo ascetico grazie alle superfici di marmo pregiato e legno, ai lumiere a braccio, alle volte formate da lastre di vetro in giardini d’inverno traboccanti di palme e piante esotiche, i piatti rinnovano un’esperienza legata alle tradizioni più autentiche e profonde dell’arte culinaria indiana.

E lo chef, Hermant Oberoi, (che proviene dal Taj Hotel Group), è un vero maestro in questo campo, un antropologo del gusto che ha rigettato la facile tentazione del piccante, voluttuoso sharp taste, per dedicarsi ai tesori culinari perduti, dimenticati o ignorati; una ricerca durata dieci anni e una sfida non facile da sostenere. La reinvenzione di questi antichi sapori, ispirati ai segreti delle piccole comunità agricole, alle ricette passate da “madre a figlia”, secondo canoni classici, è vista in una chiave d’attualità, espressione di freschezza, d’emozione e buon umore; un mix eclettico, tra arti culinarie di località remote come Bori, Parsi, Maharashtrian e Goan.

I colori e le materie prime, sapientemente distribuiti con l’uso di tecniche moderne, trasformano antiche tradizioni indiane legate al cibo, in una nuova esperienza alla carte suddivisa in due segmenti – “Sample menu” e “Live cooking” – (una sorta di menu interattivo e immediato), ambedue approntati espressamente per “The Bombay Brasserie” da Hermant Oberoi.

Ecco allora per l’estemporaneo “Live cooking”, kebab d’agnello caramellato in canna da zucchero, Paperwali Machchi, filetti di pesce con grani di pepe frantumati, avvolti in carta pergamena e cotti senza olio, a cielo aperto, sui carboni. O ancora, Bhuni Makai, un consommé aromatizzato con lenticchie, pomodoro e infuso con succo di limone, un assaggio di Tandoori Scottish Salmon, combinazione d’agnello tritato e salmone, Galouti aur roti pe boti, vale a dire, crostacei al curry e peperoni.



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