Prima o poi di questo argomento toccava parlarne.
I diritti dei gay avanzano in Europa. Lenti in alcuni posti, come in Italia; molto rapidi in posti meno vaticanizzati, come la Francia. Ma avanzano. Le statistiche indicano una crescita rapidissima della tolleranza nei confronti dell’omosessualita’ ed un rapidissimo cambiamento di attitudini nei confronti del matrimonio omosessuale.
Ci dobbiamo aspettare quello che stiamo vedendo: la reazione.
Non è particolarmente forte, perché priva del necessario supporto nella popolazione; ma nel nostro paese è molto ben organizzata in quanto sostenuta da lobby, come quelle cattoliche, che se in Europa non contano sostanzialmente un cazzo, in Italia occupano ancora spesso i posti più alti e importanti nei sistemi di potere politico, economico e perfino, duole dirlo per me che sono un intellettuale per vocazione, culturale (CL: basta la parola. E personalmente do anche alla lobby cattolica la colpa di un declino culturale dell’Italia sul piano internazionale che si “palpa” non appena se ne mette il naso fuori).
Un ruolo chiave nella lotta contro la parificazione dei diritti per il popolo LGBT lo hanno, e lo avranno sempre, le famigerate terapie riparative dell’omosessualità. Per i profani, si tratta di quelle pratiche pseudo-psicologiche e pseudo-scientifiche che sarebbero mirate a produrre un cambiamento (rigorosamente unidirezionale, da gay ad etero) nel’orientamento sessuale dell’individuo.
I sostenitori di queste pratiche sono quasi esclusivamente psicanalisti ed appartenenti a gruppi religiosi. Perché psicanalisti? Perché la mitologia freudiana dell’omosessualità offre una narrazione che lascia spazio ad una sua patologizzazione. Perché religiosi? Perche’ la religione offre una narrazione che lascia spazio ad una colpevolizzazione dell’omosessualità. Ed è importante capire in quale strano intreccio possano coesistere la patologizzazione, che deresponsabilizza il malato, e la colpevolizzazione, che per converso lo responsabilizza.
Prima di procedere su questa strada, però, i miei lettori potrebbero essere curiosi riguardo ad un certo fatto e farmi una certa domanda di natura “scientifica”. Li anticiperò parlandogli come l’Architetto di Matrix Reloaded: malgrado la vostra prima domanda possa essere la più pertinente, potreste rendervi conto, o non rendervi conto, che essa è anche la più irrilevante.
Questa domanda è: “hanno ragione i riparativisti? L’omosessualità può diventare eterosessualità?”[1]
La risposta non può essere un semplice sì o un no, vista la complessità anche solo dei termini usati. Se definiamo l’omosessualità come la pratica di avere rapporti sessuali con il proprio stesso sesso, la risposta è un nettissimo sì. Vivere senza avere rapporti sessuali fra maschio e maschio o fra femmina e femmina è possibile. Poiché non desidero entrare nella vita e nei tormenti personali di chi è spinto a desiderare per se stesso una simile soluzione, dirò anche che non mi sento di escludere che per alcuni possa funzionare: io, omosessuale de iure, potrei decidere di comportarmi come un eterosessuale, sposare una donna, averci dei figli, finanche averci una specie di vita sessuale, seppur fondamentalmente mutilata. Perché dovrei scegliere una cosa del genere pur avendo la possibilità di raggiungere gli stessi obbiettivi con un uomo, che mi piace di più, ovviamente è ben altra domanda, e molto più interessante, ma ci ritorneremo.
Aggiungerò anche: se uno specifico individuo omosessuale X non riesce a gestire la propria sessualità con serenità e sintonia, penso che potrebbe sperimentare addirittura un miglioramento della propria vita nel momento in cui inizi invece a vivere una vita da “eterosessuale a metà”. Dopotutto un matrimonio su tre finisce nella noia o nel sopruso o nel divorzio o in tutti e tre, moltissimi eterosessuali, anche veri, sono di fatto adeguatisi ad una vita sentimentale e sessuale che è mutilate in qualche sua parte. Può farlo anche un omosessuale, evidentemente scegliere una certa forma di sicurezza sociale rinunciando al sogno d’amore è una scelta che per alcuni può funzionare.
Rispondiamo di nuovo alla stessa domanda, ma formulata in modo più preciso:
“Può addirittura un omosessuale attratto esclusivamente dal proprio sesso mutare completamente interessi grazie ad un trattamento psicoterapico, fino a diventare un eterosessuale pienamente compiuto, sentimentalmente, umanamente e anche sessualmente soddisfatto?”
La letteratura scientifica suggerisce che se, e sottolineo se, ciò può davvero accadere, è un’eventualità di una rarità astronomica. Considerato che le terapie riparative si pagano, considerato che durano anni ed anni ed anni, considerata la percentuale di fallimenti altissima (o come molti, me compreso, credono, totale), e considerato che fare la terapia riparativa significa al contempo rinunciare a tentare la strada di una crescita autonoma e affermativa della propria personalità come omosessuale, direi che consigliare a qualcuno di praticare la terapia riparativa perché non sta bene come omosessuale è lo stesso che suggerire a uno che è alto 1.65 e si sente basso di sottoporsi alla costosissima tortura di un intervento per l’aumento della statura. Probabilmente tutto ciò di cui ha bisogno è imparare ad amarsi come persona alta 1.65, e un bravo psicologo che lo aiuti in questo percorso, non certo di farsi tagliuzzare e ricucire le gambe (non lo sapevate? La statura si può aumentare chirurgicamente, richiede solo stare mesi interi o più con dei perni di metallo infilati nelle ossa e costretti a muoversi su sedia a rotelle in seguito ad un’operazione indicibilmente costosa e dolorosa! Bassezza: guarire si può! Che aspettate?!).
In sostanza, no, tentare di cambiare la propria naturale inclinazione non è una strategia efficace; le terapie riparative, se forse in un caso su diecimila possono funzionare, non incontrano comunque gli standard minimi di efficacia e sicurezza necessari per essere approvate o consigliate come pratica medica; e comunque se uno ha problemi di distonia nei confronti della propria omosessualità ci sono altre strade, più semplici ed efficaci, da tentare, come la terapia affermativa dell’omosessualità: tanto basta a sconsigliare simili astrusi percorsi di frustrazione personale.
Ma questa qui è la scienza (o pseudoscienza) che riguarda le terapie riparative. Questo articolo si intitola “la filosofia delle terapie riparative”. Se avete letto la pagina “su di me” in questo stesso blog allora avrete capito che la filosofia che c’è dietro è per me altrettanto importante della scienza. No, perdonatemi: lo è molto di più. Perché decidere cosa è una malattia e cosa no, cosa può e deve essere accettato nella società e cosa va sradicato anche coi mezzi più inumani, cosa può essere della nostra vita e cosa vogliamo che sia della nostra vita… queste sono tutte questioni filosofiche, non le risolve uno scienziato.
La scienza non può dare valori e prescrizioni, se lo fa in quel momento non è più scienza. Certo, l’atto di dare valori e prescrizioni DEVE tener conto delle possibilità scientifiche: prescrivere agli umani di farsi spuntare le ali non è possibile perché va contro la scienza… ma all’interno del range di possibilità della scienza la discussione sui valori è aperta. nel caso di specie alcuni dati importanti la scienza ce li dà, e lo fa con chiarezza tale che nessuna persona dotata di buon senso possa metterli in discussione: l’orientamento sessuale non si sceglie, non lo si cambia schioccando le dita o prendendo una pillola, non impedisce di per se’ di vivere una vita serena e compiuta, tentare di cambiarlo richiede una forzatura di se stessi, un lavoro lungo, costoso e con poche o nulle probabilità di successo e varie possibilità collaterali di danno. Questi sono dati che nessuno può contestare in onestà e sono la posizione ufficiale della comunità scientifica, per quello che può interessare ai pochi illuminati che ancora ritengono che nella scienza il parere della maggioranza degli scienziati conti. E puntano tutti su una sostanziale non responsabilità dell’omosessuale almeno per il suo orientamento, se non per l’attuazione dello stesso.
Ma i sostenitori delle terapie riparative ci tengono tanto, per ragioni che presto saranno chiare, a fare dell’orientamento sessuale il primo gusto personale della storia dell’esperienza umana ad essere una “scelta” (quindi la prossima volta che vi offrono da mangiare quegli orridi krauti non vi salti in mente di sostenere che a voi i krauti non piacciono e non potete farci niente: i gusti sono una scelta, signori!), per questo puntano tutto su dell’altro: sul fatto isolato e banale, finanche astratto, che “cambiare si può”. Che la sessualità abbia un certo grado naturale di fluidità è risaputo; non me la sento di negare aprioristicamente che in un caso su diecimila un omosessuale, specie se in partenza è già un pochetto bisessuale, possa finire col raggiungere, tramite costose manipolazioni psicologiche o simili, una situazione tale da potersi prendere il diritto di definire se stesso come “eterosessuale”.
Questa è la mia risposta alle vostre domande, nonché quella della comunità scientifica (intendo quella parte della comunità scientifica che non insegna alla Cattolica), ma ciò non è rilevante. Rilevante potrebbe essere magari scoprire che si diventa eterosessuali con una pillola o un’iniezioncina molto economiche che funzionano nel 90% dei casi e senza effetti collaterali seri; una cosa così amplierebbe sensibilmente il dibattito, se davvero con uno schiocco di dita si potesse scegliere chi amare o chi desiderare, la questione dell’omosessualità sarebbe l’ultimo dei nostri problemi, tutto il vissuto umano sarebbe ristrutturato dalla scoperta.
Ecco, la terapia di Smithers potrebbe andare bene.
Ma non è evidentemente il caso. Il problema non è certo se Luca di Povia sia ancora gay o no, il problema è un altro, e tutto quello che ho scritto e scriverò qui sopra sulla filosofia dietro le teraèie riparative sarebbe ancora valido se invece di uno su diecimila gli ex-gay” fossero dieci o cento su diecimila.
Citiamo ancora Matrix: La scelta. Il problema è la scelta. Il problema sono le azioni, le prescrizioni, i programmi sociali e politici che accompagnano le istanze dei sostenitori delle terapie riparative, legati ad esse a filo doppio da una fitta trama di rimandi teorici e pratici.
I riparativisti vogliono che l’omosessualità sia una scelta. Lo vogliono con un’intensità molto maggiore di quanto noi LGBT vogliamo che non lo sia, a mio parere: noi abbiamo sempre posto il problema della libertà di essere, loro pongono sempre quello della libertà di scegliere. “Noi”, sostengono, “vogliamo che gli omosessuali possano scegliere di non esserlo più!”
All’ipocrita che pone il problema delle terapie riparative in questi termini, come se fosse uno di “libertà di scelta”, “libertà di cambiare”, “libertà di scegliersi l’orientamento sessuale”, io rispondo sempre nello stesso modo: se costui è coerente, se davvero il problema per lui è la libertà di scelta, allora alla sua perentoria asserzione che “cambiare si può” mi aspetto accompagni un’adeguato progetto politico a tutela di una vera libertà di scelta, con almeno due punti imprescindibili:
1) Gli psicologi devono iniziare a proporre a chiunque lo desideri, le terapie riparative dell’omosessualità, ma anche quelle dell’eterosessualità: perché un eterosessuale, magari di scarso successo con l’altro sesso, non dovrebbe avere la possibilità di tentare la via dell’omosessualità (tanto, stando alla psicanalisi, derivano tutt’e due dal trauma edipico e dovrebbero essere “curabili” entrambe)?
2) Si deve rimuovere qualsiasi ostacolo e qualsiasi discriminazione legale e sociale che possa condizionare la scelta in questione, ergo gli omosessuali devono possedere le stesse identiche possibilità sociali concesse agli eterosessuali, onde poter essere “liberi di scegliere”. Nessuna discriminazione sul lavoro, nell’accesso al matrimonio o alla filiazione, nessuno stigma sociale.
Se e solo se queste due condizioni sono rispettate, allora si può porre la questione come “libertà di scelta”.
Salve sarebbero, in questo caso, le buone intenzioni e la buona fede nel parlare di libertà, anche se è quasi certo che siano tutti sbagliati i mezzi (si interpreterebbe comunque il mestiere dello psicologo e il ruolo della psicoterapia come quello del” chirurgo estetico della mente”, che, invece di insegnarti ad amarti per la tua natura, ti fa pagare centomila euro per un’operazione assurdamente dolorosa che te la faccia cambiare).
Ma è comunque ridicolmente ovvio come non sia questo il caso: I riparativisti sono immancabilmente connotati come contrari alle leggi contro l’omofobia, contrari ai matrimoni gay, contrari all’educazione alle differenze, e di sicuro non si sognerebbero mai di proporre a un eterosessuale che ha scarso successo con le donne di provare a diventare gay (e almeno su quest’ultima cosa hanno sacrosanta ragione). La “scelta” che ti offrono è quella di non essere gay, mentre la “scelta” di esserlo la ostacolano e scoraggiano, da noi con ogni mezzo compatibile con le istituzioni democratiche e, in paesi come la Russia, anche con mezzi che sono non compatibili con le istituzioni democratiche. Quanta neutralità, quanta affezione per la scelta, quanto interesse per la disponibilità di alternative alla pari in tutto ciò!
Il bello è che da questo cristallino pulpito d’ipocrisia, i riparativisti si divertono a dipingere le associazioni LGBT come gli alfieri dell’essenzialismo assoluto, come sostenitori ad oltranza dell’immutabilità ed eternità dell’orientamento sessuale, cavalieri della black and white logic e nemici della libertà di scelta; il tutto mentre in un capolavoro di bispensiero ci accusano anche (attraverso quella ridicola parodia della Queer Theory che loro stessi hanno inventato come uomo di paglia e battezzato come “Teoria Gender”), di voler rendere la sessualità confusa, ovvero l’esatto opposto di tutto quanto si è appena detto: se la sessualità è “confusa” e sfumata, come possiamo sostenere che esistano differenti orientamenti sessuali, e che la conversione fra gli uni e gli altri non sia possibile?
La verità è che troveranno fra noi sostenitori dei diritti LGBT essenzialisti convinti dell’immutabilità e sostenitori della sessualità fluida e mutevole suppergiù in egual misura, non è questo a differenziarci da loro. La differenza non è nei fatti, ma nei valori.
Per un omofobo:
Se l’omosessualità è solo una scelta, non va fatta
Se è un gusto, non va seguito
Se è un modo d’essere modificabile, va modificato
Se non è modificabile, non va agito.
Per noi sostenitori dei diritti LGBT tutti i gusti, le azioni, le autoclassificazioni, le etichette, perfino le gabbie, sono opzione aperte alla possibilità; la scelta, se intesa correttamente come la libertà di sviluppare la propria vita secondo le proprie inclinazioni e i propri desideri, è il fulcro fondamentale di tutte le rivendicazioni LGBT.
Per chi ci vuole “riparare” non è così; la loro insistenza sulla scelta è un’insistenza che mira condizionare la scelta, viene data l’illusione della scelta per poterti strappare via la scelta vera: scegli Dio o ti manderemo all’Inferno, questa è la loro idea di libera scelta. La libertà è schiavitù.
Seguirà anche che l’ignoranza è forza e la guerra è pace, poco ma sicuro.
E visto il chiaro quadro di valori che vanno definendo, quale fatto o scoperta scientifica potrebbe far cambiare loro idea? Rispetto alla loro convinzione che l’omosessualità sia un male umano, tutte le circostanze della sua realizzazione sono un problema accessorio, e la loro insistenza sul problema della scelta non rivela una reale rilevanza attribuita al concetto di scelta, quanto piuttosto una precisa decisione strategica. Una che Nietzsche ha descritto con parole che io non riuscirei a superare in chiarezza ed espressività:
Oggi non abbiamo più alcuna compassione per il concetto di «libera volontà»: sappiamo anche troppo bene che cosa sia il più infame trucco dei teologi che esista, volto a rendere l’umanità «responsabile» nel senso loro, vale a dire a renderla dipendente da loro…
Da qui solo la psicologia di ogni responsabilizzazione.
Ovunque si cerchino responsabilità, è sempre l’istinto del voler punire e giudicare a cercarle.
Si è spogliato il divenire della sua innocenza, quando si riconduce l’essere in questo o in quel modo a volontà, a intenzioni, ad atti di responsabilità: la dottrina del volere è stata inventata essenzialmente allo scopo di punire, ossia allo scopo di trovare colpevoli.
Gli uomini furono pensati liberi perché potessero esser giudicati, puniti, così da poter diventare colpevoli: conseguentemente, ogni azione doveva essere pensata come voluta, e l’origine di ogni azione riposta nella coscienza – con il che la più fondamentale falsificazione in psychologicis fu eretta a principio della psicologia stessa.
Insistono tanto sul volerci rendere liberi, ma la libertà è un sinonimo di potere, di autodeterminazione totale. Dove sta la libertà, quando tutte le tue alternative vengono mutilate dalla discriminazione di stato, dalla paura della violenza, dallo stigma sociale, dall’opposizione di genitori, scuole, parenti, amici, istituzioni e chi più ne ha più ne metta? Non c’è, non c’è mai stata: si può “scegliere” di essere eterosessuali come si può scegliere di votare il PNF durante il ventennio fascista: puoi farlo oppure sparire dal cosmo. Così di certo non ci hanno resi liberi, ma incredibilmente, come nota Nietzsche, ci hanno reso lo stesso responsabili, nel senso di dipendenti da loro, e quindi reprimibili, punibili, discriminabili, trascurabili nel migliore dei casi.
Ma se ci fermassimo qui rimarremmo ad un’ingenuità quasi medievale nello sviluppo dello strumento repressivo: è già mostruoso rendere responsabile qualcuno nello stesso momento in cui gli si sta mangiando via di fatto la libertà, ma resta il fatto che una persona responsabile è ancora una persona adulta, o più semplicemente ed equivalentemente, è ancora una persona. La possiamo punire, ma dobbiamo ancora rispettarla nella sua fondamentale uguaglianza a noi, dobbiamo ancora confrontarci col suo incessante desiderio di autodeterminarsi.
E se invece non fosse neanche pienamente “responsabile”? Be’, allora avremmo ben altre possibilità di repressione, perché “il criminale” puoi solo dissuaderlo e cercare di rieducarlo, in teoria; “il pazzo” e “la bestia” invece li puoi distruggere, finanche eliminare fisicamente: pazzi ed animali sono in effetti privati della personalità.
Ovviamente dal punto di vista logico non sarà mai possibile rendere compatibili la responsabilità del criminale con la disumanità della bestia, ma l’uomo raramente è logico, e la terapia riparativa è il capolavoro repressivo di bispesiero che fonde le due cose: l’omosessuale è malato di mente, quindi va interdetto come un malato di mente, ed un criminale perché potrebbe farsi curare ma per misteriosi motivi non vuole, quindi va anche dissuaso come un criminale. E infatti non fu forse uno dei più forti sostenitori delle terapie riparative, Socarides, a dire che gli omosessuali d’America erano “bambini confusi”?
Sono bambini, quindi non persone compiute. Non possono mica autodeterminarsi, scegliere se essere considerati malati o meno, essere ascoltati. Li devi trascinare dal dottore, sempre per il loro bene, per carità cristiana; dato che non possono scegliere per sé noi dobbiamo scegliere per loro, mandargli continuamente il messaggio che sono sbagliati, errori da riparare, e possibilmente bloccargli qualsiasi strada di realizzazione personale che non sia quella che NOI abbiamo scelto per loro.
Dissuasi come criminali, disumanizzati come malati di mente, privati di più o di meno, a seconda della compiacenza dello stato alle istanza clericali, dei propri diritti civili fondamentali.
Infine, udite udite il coup de maitre, tutto questo lo chiamiamo libertà di scelta.
Un apparato di controllo così perfetto non ci si può aspettare che I nemici dei diritti LGBT lo lascino cadere facilmente, è troppo elegante, troppo mefistofelicamente perfetto per non tentare almeno di farlo sopravvivere.
Aspettiamoci di sentirne parlare ancora tanto, tanto a lungo, forse fino alla fine dei tempi. Perché forse un giorno non ci vorranno più curare dall’omosessualità, ma decideranno che ci vogliono curare dall’introversione, dalla nostra eccessiva indipendenza di pensiero, dal fatto che non ci piaccia la pizza…
Che dire, personalmente spero almeno di vedere il giorno in cui potrò invocare un TSO per chi mette il parmigiano sugli spaghetti cozze e vongole.
Camminava lungo il corridoio dalle pareti bianche, e gli sembrava di camminare alla luce del sole, e aveva una guardia armata dietro le spalle. La pallottola attesa tanto a lungo stava entrandogli nel cervello. Guardò su, alla faccia enorme. Gli ci erano voluti quarant’anni per imparare che specie di sorriso era nascosto sotto quei baffi neri. Oh, che equivoco crudele, e inutile! Oh, quale indocile esilio volontario da quell’affettuoso seno! Due lacrime puzzolenti di gin gli sgocciolavano ai lati del naso. Ma ogni cosa era a posto, ora, tutto era definitivamente sistemato, la lotta era finita. Egli era riuscito vincitore su se medesimo. Amava il Grande Fratello.
(George Orwell, 1984)
[1] Risponderò a questa domanda senza inserire le referenze alla letteratura scientifica. Non lo farò per tre ragioni: la prima è la pigrizia, la ricerca bibliografica è lunga. La seconda è che dirò, su questo tema, cose di banalità sconcertante e accettate ormai da chiunque tranne dai più incancreniti ed irrecuperabili degli integralisti religiosi, che non sono il mio target comunicativo; arriverò perfino a concedere ai sostenitori delle terapie riparative, per puro esercizio di pensiero, anche alcuni punti che nessuna associazione LGBT gli concederebbe e che io stesso digerisco a fatica, quindi non mi aspetto contestazioni serie su questo. La terza ragione, che è la più importante, è che in questo articolo io argomenterò fra le altre cose proprio la sostanziale irrilevanza, o rilevanza secondaria, della questione scientifica nel dibattito sulle terapie riparative, e dunque se invece mi mettessi ad approfondire gli aspetti scientifici cadrei in contraddizione con uno dei punti centrali.