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La fine è il mio inizio

Creato il 23 aprile 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Tiziano Terzani, com’è noto a molti, è stato un infaticabile giornalista, reporter e viaggiatore fiorentino, attivo testimone di tanti momenti storici epocali catturati in ogni parte del mondo e, in particolare, dall’amatissima Asia. Ma forse non tutti sanno che, negli ultimi anni della sua vita, a seguito di un’implacabile malattia che lo porterà alla morte nel 2004, trascorse tre anni sull’Himalaya vivendo come un asceta in eremitaggio: lui, un uomo dinamicissimo, pronto ad inseguire l’evento rincorrendo la vita da un polo all’altro del globo, si fermò bruscamente, deciso a prepararsi al misterioso viaggio verso la morte come un vero saggio orientale. Nel ritiro familiare dei suoi ultimi giorni, trascorsi nella casa di campagna ad Orsigna, sull’Appenino Tosco-emiliano, lasciò al figlio Folco – attraverso conversazioni registrate – la sua eredità spirituale, oggi raccolta nel best-seller “La fine è il mio inizio”, titolo del libro e dell’omonimo film di Jo Baier, giunto in questi giorni nelle sale italiane.

Chiamarlo film, però, sarebbe riduttivo e, al tempo stesso, inesatto: si tratta infatti di una sorta di documentario, sia pur girato ed interpretato come una fiction, dove l’azione è il pensiero, il racconto, la riflessione esistenziale di Terzani padre a Terzani figlio. Non accade nulla di particolare, in termini di trama: dopo l’arrivo tempestivo di Folco, chiamato dal padre per l’aggravarsi della malattia, nella casa di Orsigna (la vera casa di Terzani, aperta dai familiari per farne il set del film sugli ultimi giorni vissuti da Tiziano), si dipanano, nella cornice di questo magnifico luogo naturale, giornate emotivamente dense, vissute tra gli affetti più cari e si avverte, come in un susseguirsi di immagini/momenti/fotografie, l’urgenza di trasmettere la “summa” delle lucide analisi interiori di una vita intensissima e decisamente non convenzionale, quasi a riassumere e rielaborare, in pochi giorni, la memoria e la consapevolezza di un intero percorso, cercando la quadratura del cerchio, con uno sguardo al trascendente. Di fatto Terzani, nell’ultimo periodo della sua vita, già si andava allontanando sempre più dalle cose terrene, tanto da parlare del giornalismo e dell’indagine dei fatti esteriori, come di una fase superata della sua vita, sostituita invece dalla ricerca dei fatti interiori e della spiritualità cosmica.

L’intera operazione del film non avrebbe avuto credibilità né sostanza senza il fondamentale ed eccelso apporto di Bruno Ganz, in ogni particolare sfumatura interprete grandissimo e raffinato: le espressioni del volto, la gestualità delle mani, la compostezza e lo sguardo nell’oltre, la fisicità sofferente, lo sguardo amorevole e dolente per i familiari. Fra gli altri protagonisti Elio Germano, qui nel ruolo del ribelle e complesso Folco, non riesce a rendere pienamente (come invece ha saputo centrare spesso in altre sue interpretazioni) il travaglio ed il contrastante sentimento del figlio di Terzani verso un padre famoso e dalla forte personalità, ed appare una nota stonata nel film, al contrario dell’attrice austriaca Erika Pluhar, perfetta nel ruolo di Angela Terzani, moglie e madre attenta e premurosa ma anche donna indipendente dal carattere indomito.

“La cosa interessante, che mi ha spinto a realizzare la riduzione cinematografica del libro “La fine è il mio inizio” – ha affermato Ulrich Limmer, il produttore del film e co-sceneggiatore con Folco Terzani – è che Tiziano Terzani dice cose relativamente semplici, come ad esempio che nel nostro mondo c’è qualcosa che va in modo sbagliato, che abbiamo perso ogni forma di spiritualità, che non ci appartiamo più a sentire la nostra voce interiore ma che, al tempo stesso, ciascuno di noi può fare qualcosa per la propria vita: vivere in modo consapevole, assaporando ogni giorno, per morire anche in modo consapevole, sapendo di doverci separare da tutto ciò che abbiamo accumulato, perché morire è una parte di noi”.

Elisabetta Colla


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