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La finestra di fronte

Da Pamirilla
    La finestra di fronte
Per i commenti che avete lasciato nel post precedente non saprei come dirvi grazie.

Per ora sono ancora qui………con un piccolo tributo: l’avete visto anche voi quel meraviglioso film?


A volte mi dicono che sono una piccola artista. Io, che dell’arte ho un gran rispetto, rispondo che sono solo una buona artigiana. La metà delle cose che faccio le butterei nel secchio: quello mi sembra sbagliato nella consistenza, quell’altro ha perso troppa umidità, quei biscotti sono friabili ma gli manca qualcosa e quei dolcetti sono troppo cotti.
Guardo per aria e faccio la vaga mentre sui vassoi colmi di dolci si allungano le mani dei golosi e dei curiosi. Qualcuno mugola di piacere e qualcun altro si lecca le dita ed io penso “Meno male, non se ne sono accorti neanche questa volta.”
Quando confido questi pensieri agli amici più cari di solito mi rispondono “Sei la solita deficiente!”, quelli più schietti. Gli altri cercano di esortarmi a credere di più in me stessa.
La verità? Non mi manca la fiducia in me stessa ma sono troppo ambiziosa. Forse presuntuosa. L’idea che ho in mente è sempre troppo alta, oltre le mie possibilità, e per quanto faccia non raggiungo mai un traguardo perché, migliorando, il traguardo si sposta un po’ più in là. Senza fine.

Non sono un artista. Forse una buona pasticcera.

Nella vita a volte si spalancano finestre, all’improvviso, come sbattute da una folata di vento. Qualcuno le chiama coincidenze ed altri percepiscono segni premonitori. A me piace guardare dalla finestra, ci posso passare le ore. Molti anni fa guardai fuori, nella finestra di fronte. Non ero ancora una pasticcera.
Sapevo che presto qualcosa sarebbe cambiato ma non sapevo cosa fare, come fare.
In questi casi è meglio sedersi, buoni, ed ascoltare i racconti di qualcuno più saggio di noi.
Così io ascoltai il racconto che usciva dalla finestra di fronte ed ora so che ne capii solo una parte con il pensiero, ma nel cuore ne afferrai tutta la grandezza e la magia.
Un signore mi raccontò di come ogni scelta segna la nostra vita, la scava come uno scalpello il legno, la rimodella come il fuoco il ferro.
Ed è in una frazione di secondo che scocca la scintilla che cambierà tutto quello che viene dopo.
Uscire da un portone e girare a destra piuttosto che a sinistra.
Scegliere tra l’amore e la paura, scegliere il coraggio o la sicurezza.
Scegliere la propria vita o quella di qualcun altro. Scegliere…..o lasciarsi scegliere con imbelle indolenza.
E fatta ogni scelta resta tutta la responsabilità di quella scelta ed il peso di ogni giorno. O la sua leggerezza.
Il nostro talento è ciò che ci salverà sempre, è la cosa che ci porterà nel posto giusto e ci proteggerà.
Ognuno di noi ha uno speciale talento, non tutti lo sanno riconoscere. Perché resta facilmente coperto dalle paure, sepolto dai dubbi, troppe scuse, poche certezze.
Oppure resta soffocato dal culo grosso di una vita ingombrante, seduto sopra di lui come ne avesse il diritto.

Io non sapevo cosa fare, come fare, non avevo idea di essere una pasticcera.
Allora perché ho pianto? Certo, perché il racconto era molto bello e quel signore lo raccontava fondendo cioccolato e montando meringhe per spiegare meglio quello che voleva dire con le parole in un modo che rapiva ogni immaginazione. Una festa di dolci meravigliosi, arte e poesia e beccucci di rame. Vederlo avrà commosso molte altre persone, non solo me. Non è che un racconto ti fa diventare qualcun altro solo perché sembrerebbe bello.
Ma, comunque sia, io ho ascoltato con attenzione tutto quanto e poi l’ho dimenticato.

Ora, molti anni dopo, se mi affaccio alla finestra vedo tutte le scelte che ho fatto.
Mi sono ricordata di quel signore e delle sue meravigliose torte che sembravano opere d’arte nella cucina scura, le sue mani antiche, e ho pianto fino a non avere più fiato. Ho pianto più della commozione, più di una semplice felicità, ho pianto perché, per un momento, mi sono riconosciuta e mi sono sentita davvero speciale. E niente butterei nel secchio.
Se mi affaccio ora alla finestra, di fronte a me vedo la mia vita: scelta, voluta.
Non so se è arte, non credo. Ma puzza di buono!

 
In cucina sono felice ed in cucina sto.
In attesa che arrivi la mia planetaria (in viaggio, cara Tatti, grazie a te!) e mi possa ricongiungere con i miei beccucci di rame e tutte le mie “carabattole” da maga matta faccio questa tortina. Non avrà la voluttuosa bellezza di una portata degna del Re Sole ma ogni tanto l’ambizione deve cedere il passo ed inchinarsi di fronte ad una schietta dichiarazione d’amore per la vita. Così com’è.

 

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Ingredienti

teglia da 20cm.

300g di farina
100g di burro
100g di zucchero
4 tuorli grandi
1 cucchiaino di lievito
Un pizzico di sale
Rum q.b.
Uvetta, pinoli, mandorle in scaglie
Zucchero in granelli
Marmellata di more q.b.

Sciogliere il sale nelle uova poco battute, impastarle con il burro morbido e lo zucchero. Fatto un pastello unire a poco a poco la farina, quindi uvetta e pinoli. Impastare finché la pasta sia liscia ed omogenea senza lavorarla troppo, dividerla in due parti. Foderare uno stampo imburrato con metà impasto, stendere al centro la marmellata e ricoprire con il resto dell’impasto. Allungare un poco di tuorlo con qualche goccia d’acqua, pennellare sulla torta e coprire con lo zucchero in granella e le mandorle in scaglie.
Infornare a 180° per circa 40 minuti.
Affacciatevi alla finestra, cosa vedete?

 

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