Quando l’Archeoclub inaugurò la Pietà restaurata incontrai un amico e lo invitai a visitare Sant’Ugo per vederla. La sua risposta mi lasciò interdetto. Mi disse che non sarebbe venuto perché tanto aveva visto le foto su Facebook. Gli risposi, con un paragone ardito, che anch’io, a Parigi, non andai a vedere la Gioconda perché di sue foto ne avevo viste fin troppe. Poi iniziai a pensare intorno alle sue parole perché, secondo me, hanno un significato molto più vasto di quello che appare.
Siamo tutti indignati in Italia. La riconciliazione nazionale passa attraverso questo comune senso di impotenza di fronte allo scempio che è stato fatto e che si continua a fare del nostro Paese e delle nostre vite. Chi pensava che Monti avesse stoppato la nostra corsa verso il precipizio ora è convinto che l’ha solo rallentata un po’. Leggendo qua e là sul web vediamo quanta rabbia c’è e quanto si senta forte la necessità di un cambiamento radicale, di una rivoluzione.
Non credo nelle rivoluzioni violente. Sono convinto che abbiano sempre portato a situazioni peggiori di quelle a cui volevano porre rimedio salvo poi avere effetti positivi nel lunghissimo periodo. Credo che la rivoluzione debba essere fatta all’interno del sistema, in maniera democratica, partecipando e cambiando la politica. Per farlo occorre impegno e raziocinio. L’impulso a distruggere tutto per ricostruire dalle macerie è umano ma pernicioso.
Quanti rivoluzionari ci sono su Facebook? Tanti. Lo siamo un po’ tutti. Ma la nostra rivoluzione si ferma alla condivisione di un link, ad un cliccare “mi piace”, ad un commento intelligente ma che rimane lì, su uno schermo, condiviso e letto da molti. Ma l’applicazione pratica dov’è?
In Irlanda la gente è scesa nelle piazze e ha fermato una legge simile alla nostra nascitura IMU. In Italia clicchiamo “mi piace”. Vediamo un governo “tecnico” che diventa ogni giorno che passa sempre più politico e sotto ricatto dai vari poteri forti, vediamo un Parlamento bloccato, dei partiti inetti, dei politici incapaci e corrotti. Ma non vediamo un movimento politico concreto che scenda in strada e trascini la gente, che voglia portare qualcosa di nuovo, che si proponga di cambiare le cose realmente, non virtualmente. Ci sono i No Tav, i No Global, ma sono inconsistenti nel computo globale dei numeri. Occorre un movimento popolare forte. Se tutte le cose che circolano nei social network passassero dallo schermo alla realtà si potrebbe davvero cambiare l’Italia.
È bello e confortante poter pensare di fare la rivoluzione con la tastiera. Ma se non usciamo di casa avremo solo fatto un ottimo esercizio di fantasia. E intanto quelli che sono nel mondo reale continueranno a fare quello che vogliono con le nostre vite. E non potremo più nemmeno cliccare “mi piace”.
Luca Craia