Sabato 2 Novembre, un punto nella foresta della città di Coblenza, Germania.
Un po’ di mesi fa abbiamo ricevuto l’invito di scegliere l’albero. In Germania tutto è pensato e pianificato, nulla al caso. L’associazione dei genitori dei bambini morti di cancro della quale facciamo parte, ci invitava a scegliere l’albero per nostra figlia. Un albero da piantare nella foresta che attornia la città. Un albero per collegare la terra e il cielo. Un albero che rimanga, anche più dei genitori che sono sopravvissuti , almeno per ora. Un albero con la targhetta per mettere sotto il cielo per iscritto che c’erano degli Angeli qui sulla terra, mandati da lassù per urlare al mondo di darsi una mossa, di convertirsi, di non cercare la verità tra le ghiande ma di guardare in su.
Appuntamento alle dieci in un parcheggio dove di solito partono passeggiate a piedi all’interno della foresta. Tutto è indicato. Mi aspetto non tanta gente. Nell’ultimò ritrovo dell’associazione eravamo 5 o 6 famiglie. E invece no. Quando si parla di infinito sono tutti li. Quando si parla di riprendere il discorso interrotto sono tutti pronti a partecipare.
17 famiglie sotto un cielo grigio e qualche goccia di pioggia qui e lá. 17 famiglie , ognuna con una storia non a lieto fine. 17 famiglie che hanno provato fino in fondo il sapore della vita, non sempre dolce come descritto in TV o nelle riviste. 17 famiglie che si guardanocon affetto anche se magari è la prima volta che ci si incontra. 17 famiglia che viaggiavano a grande velocità nella vita ma che a un certo punto hanno sbattuto il culo per terra, hanno sentito il ruvido dell’asfalto che gratta prima i vestiti e poi consuma la pelle, che hanno avuto la sabbia in bocca , tra i denti. E da allora la strada della vita è per sempre cambiata: altra direzione, altra velocità, un altro paesaggio la contorna.
Aspettiamo quindi in maniera più o meno ordinata sul bordo di un grande prato all’interno del bosco. È ora: discorso di rito per spiegare le modalità di come pianteremo gli alberi. Ogni famiglia ha ricevuto un numero che corrisponde all’albero del tipo scelto e questi sono già nel loro buco. Noi dobbiamo solo chiudere il buco e mettere i pali che terranno diritti gli alberi…. Nulla è lasciato al caso come solito. La truppa parte quindi giù per un sentiero erboso. L’aria è umida e l’erba bagnata ma non piove ancora. L’aria è piacevolmente fresca. Non pensando alla situazione meteo, io sono l’unico della famiglia con scarpe da trekking. Gli altri della nostra truppa hanno invece scarpe per tutti i giorni. Mi consolo osservando che la nostra famiglia non è l’unica ad essere sprovveduta. Arrivati alla fine del sentiero giungiamo su quello che sarà il parco: è stata disboscata un pezzetto di foresta e da un lato sono stati messi tutti in fila gli alberi per i nostri figli in cielo. Essendo stato disboscato il terreno ed essendo tutto bagnato, il fango è ovunque. Ondeggiando e affondando proseguiamo per il nostro albero: il numero otto. Da casa abbiamo portato due pale, Tancredi inizia a spingere la terra dentro il buco e io faccio le foto di rito. La vista da li sulla foresta è molto bella. In futuro verranno messe il vicini panchine per fare il picnic e la spianata di fango diventerà un bel prato. Vicino ad ogni albero c’è una palo di legno con il posto per un cartello. Dopo esser sprofondati nel fango, andiamo dove ci viene dato il nostro cartello da personalizzare. In realtà è una pietra, dei quelle piatte, di quelle che qui venivano usate sulle case. Scrivo da una parte il nome della mia bimba, poi giriamo la pietra piatta e i bimbi ci possono disegnare. Matilde fa un angioletto e una farfalla, Tancredi un fiore, Sofia invece scrive una frase. I nostri bimbi sono come sempre incredibilmente giocosi anche in queste occasioni, anche se hanno sempre nel cuore la sorellina scomparsa. Proprio guardando le altre famiglia li vicino, mi rendo conto come il Padre ci abbia dato una grazia: non tutte, infatti, sono così spensierate e giocose. Lo si capisce dai volti testi, dalle bocche rivolte all’ingiù, dalle mezze frasi che si scambiano. Torno all’albero per far fissare la scritta, poi mi viene un dubbio se metterla dal lato con il nome, quello che ho scritto io, o dal lato dei disegni dei bimbi. Beh all’unisono i bimbi vogliono i loro disegni e quindi che così sia. Virginia è sicuramente la in mezzo a noi, a tenerci uniti , ad accarezzarci e anche lei di sicuro avrebbe gradito i loro disegni e scritti.
Da li a poco passa un aiutante con uno strumento per piantare i pali: anche qui nulla al caso. Due pali per tenere diritto l’albero. E se l’albero poi si secca? Nel discorso iniziale è stato previsto anche questo: la famiglia verrà contattata di nuovo per piantar e tutto bene. Arriva il pianta pali, con la sua flemma tutta tedesca. Io aiuto a tenere dritto l’albero, in tanta che lui pianta. Dopo di noi tocca a una famiglia indiana. Lui è scuro di pelle, baffi, molto basso e sempre sorridente. Anche la moglie è scura e bassa, anche lei sorridente. Ricordo la prima volta che li abbiamo incontrati: era in quelle occasioni in cui l’associazione di cui facciamo parte si ritrova per un piccolo rinfresco e meditare un po’. Anche allora questa coppia era tanto sorridente, poi in un tedesco misto a inglese hanno raccontato della loro figlia, volata in cielo a diciotto anni. In cielo. Cielo pieno di bambini santi che hanno finito la missione affidatagli dal Padre nostro. Noi poveri mortali che non capiamo, che non riusciamo a capacitarci di quello che sia successo, che cerchiamo motivazioni tutte terrene e terrose. Tutti che cerchiamo comunque un collegamento con il cielo. Di queste diciassette famiglia multicolore composte da cattolici, musulmani, induisti e atei…. Tutti qui a cercare un collegamento con il cielo, un collegamento rappresentato da un albero. Ponte ideale appunto tra terra, di noi terroso, e il cielo dei Santi e degli Angeli.
Finito il tutto andiamo in un ristorante poco lontano da li per mangiare qualcosa tutti insieme. L’atmosfera è carina ma noi sediamo inevitabilmente vicini a chi conosciamo, con chi abbiamo già scambiato sentimenti e lacrime. Nel gruppo e infatti appartengono famiglia fino a dieci anni indietro nel tempo: ci sono famiglia che hanno perso il loro bimbo dieci anni fa. Scruto alcune di queste famiglia a me nuove , ma l’indicatore di felicità è simile alle altre. Ci sono alcuni con sguardo duro, comportamenti distaccati e compiti. Altri invece dallo sguardo amichevole. Qualcuno si confida sottovoce. Un altro racconta di un ricordo, dell’albero sotto cui sedeva spesso la figlia. Quello stesso albero hanno piantato oggi.
Quanti sentimenti, quanta umanità tutta raggruppata insieme. Mi fa sentire vivo’ mi fa sentire di essere qui per qualcosa. I nostri figli giocano con quelli degli altri. In queste occasioni sembra proprio che tra i fratelli superstiti si crei qualcosa di magico, come se abbiano , anche conoscendosi poco, un linguaggio comune.
Quando eravamo a Medjugojie con Virginia, Visca, una dei veggenti, ci ha detto che era una grazia quello che ci stava capitando. Sul momento non avevamo capito, avevamo forse un sentore, una sensazione ma non capivamo. Oggi posso dire che l’esperienza passata grazie a Virginia ha cambiato la nostra vita, ci ha fatto vivere veramente e non smetterò mai di ringraziarla per quello che ci ha portato.