Comunque sia, non voglio fare il difensore d’ufficio della Fornero, anche perché mi sta antipatica, però è chiaro che non ha detto una cosa poi così sballata se la si esamina con maggiore attenzione e si supera il preconcetto ideologico – ahinoi! – inculcatoci dalla cultura comunista.
Il lavoro non è un diritto. Non lo è mai stato, e seppure l’art. 1 Cost. affermi che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, la norma non intende affermare che ognuno abbia il diritto ad avere un lavoro. Significa semplicemente che lo Stato fonda la propria esistenza sul lavoro. È solo una banalissima affermazione di principio che avrebbe lo stesso valore di una locuzione che affermasse che l’Italia è una repubblica fondata sul colore verde.
Ma il lavoro non è un diritto nemmeno se si prende in considerazione l’art. 35 Cost. Infatti la norma costituzionale parla di tutela del lavoro, riconoscendone il valore economico sociale preminente. Non afferma dunque che il cittadino ha il diritto inalienabile a ottenerlo. Afferma semplicemente che se l’uomo – il cittadino – ha la fortuna di averlo, lo Stato glielo tutela.
Piuttosto, l’art. 36 Cost. afferma che il lavoratore ha diritto – qui sì! – a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro. Questa norma invece potrebbe essere utilizzata per ritenere il lavoro un diritto, ma è chiaro che anche in questo caso siamo dinanzi a una delle tante affermazioni di principio di cui la nostra carta fondamentale è infarcita.
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La verità dunque è inevitabile. Il lavoro – come in qualsiasi altra parte del mondo – non è un diritto. E ancor meno lo è nel nostro paese, dove il lavoro è piuttosto un privilegio. Un dannato privilegio che può essere ottenuto in tanti modi, ma quasi mai per merito. Perché nel nostro paese (soprattutto nelle zone disastrate e povere come il sud) il lavoro è un bene di scambio politico, è il frutto di un rapporto sinallagmatico tra chi può concederlo e chi vuole averlo. Non è un diritto che il cittadino può reclamare davanti a un giudice se nessuno glielo dà.
Ecco è questo il punto dolens. Se il lavoro fosse davvero un diritto e non un privilegio, credete non sarebbe azionabile davanti a un tribunale? Sei disoccupato? Bene, rivolgiti al giudice per ottenere il lavoro che per diritto costituzionale ti spetta. Fallo, e vedrai che cosa ti tira fuori il giudice: nisba. Niente. Niet. Nein. Non è un diritto. Non lo è a meno che tu non lo abbia perso e il giudice ritenga che quella perdita sia illegittima. In tal caso, forse una speranza esiste. Gli iscritti alla FIOM di Pomigliano lo sanno benissimo.
Dunque è chiaro che la Fornero ha detto una cosa fondamentalmente giusta. Il lavoro va sudato e guadagnato, oppure devi essere figlio o figlia, amico o amica, ovvero ancora nipote di qualcuno di importante per ottenerlo senza troppa fatica e senza particolare impegno. In tal caso, è senza dubbio un privilegio; un privilegio che spetta per diritto di nascita e di retaggio, come si conviene nelle nazioni fintamente democratiche e meritocratiche come la nostra.
di Martino © 2012 Il Jester Dai la tua opinioneAutore: Martino » Articoli 1450 | Commenti: 2464
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