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la fotografia come tecnica di comunicazione

Da Ghezzo Claudio @GhezzoClaudio


Il punto essenziale è essere ‘coscenti’ di cosa e perché si vuole fotografare. E questo pensando al per chi si fotografa.
Può capitare anche al dilettante (e molto spesso anche al professionista) di fare una buona foto, però anche nel caso di una apparente buona foto, ad uno smaliziato che la vede non sfugge di capire se è frutto di casualità e fortuna o se invece l’autore voleva trasmettere qualcosa. Ed è proprio questo che fa la differenza.
La foto deve trasmettere un messaggio, una semplice emozione, anche se ad un profano può sembrare meno bella di altre magari ad effetto (voluto o casuale).
Per esempio a molti piacciono le foto suggestive di “tramonti e mari esotici”, ma possono anche non dir niente, o quantomeno essere l’ennesima brutta copia di un soggetto trito e ritrito. Se va bene… ti diranno che è una bella ‘cartolina’.
Molto spesso anche di professionisti affermati si capisce che in realtà fotografano in maniera improvvisata.
Non basta nemmeno il “fammolo strano” nel senso inquadrature strane o improbabili, effetti speciali, uso spregiudicato di obiettivi estremi. E nemmeno è sufficente rispettare le ‘regole’ linguistiche dell’inquadratura (come ad esempio la regola dei terzi).
Certo la parte tecnica va usata, ma deve essere un qualcosa di ‘digerito’ altrimenti si capisce subito che odora di accademismo.
Nel fotografare bisogna concentrarsi su cosa si vuole dire con quella foto e poi le esigenze tecniche emergono da sole, ed è comunque sempre meglio vedere dei limiti tecnici che delle carenze comunicative.
Anzi un bravo comunicatore è colui che sa sfruttare a proprio vantaggio carenze o impossibilità tecniche (magari dovute al contesto in cui sta operando), luci impossibili, ecc… Bravo è colui che fa di necessità virtù.
E da questo ne traggo che non serve invidiare le macchine fotografiche più costose e professionali, gli obiettivi da nababbi, studi di posa, luci da centrale atomica, modelle da carosello.
La fotografia è un linguaggio di comunicazione specifico e va usato per le caratteristiche, o valenze, proprie che gli forniscono valore aggiunto rispetto ad un determinato obiettivo comunicativo.
Per esempio nella fotografia alcune peculiarità sono:
•staticità – e questo permette all’occhio di chi guarda di ‘riposare’ sopra un dettaglio, quindi vedere dettagli che normalmente sfuggono (per questo bisogna curare molto il fatto che non vi siano elementi inutili, sporcizie superflue, perfino cose apparentemente “neutre”).
•profondità – anche questo appartiene all’elemento ‘riposo’ dell’occhio (sempre di chi guarda), nel senso che ti permette una specie di “vertigine” nel fissare un elemento.
Esempio tipico certe foto pubblicitarie di gioielli con certe stra-belle e famose modelle. La foto è (ovviamente) ben fatta, la modella stupenda (a dir poco), non vi sono elementi di disturbo ma anzi tutto converge nel valorizzare il gioiello, nel dargli “luce” (la fotografia è dipingere con la luce…). Eppure quello che ti fa fermare a guardare quella pubblicità è un qualcosa che va oltre e senza la quale la pubblicità (e la foto) non sarebbero buone. E’ la profondità che si materializza con le luci, la gestualità della modella, le espressioni del volto e soprattutto delle labbra (pare chea parle…) e degli occhi, nell’incarnato della pelle, ma il tutto è “solo mezzo comunicativo” per tirare fuori, una specie di vertigine, certe “sfumature” interne all’animo di chi guarda la foto. Chiaro che qui il fotografo (anzi il regista dell’operazione pubblicitaria) l’ha fatto per scopi “commerciali”, per fare in modo prima di tutto che qualcuno si soffermi a guardare e poi che colui che guarda (target d’utenza: maschio di mezza età e medie capacità di spesa che deve essere stimolato a comprare il gioiello per una possibile amante) venga colpito e convinto.
Però io mi tolgo il cappello e non tanto per il fatto che la foto è fatta tecnicamente MOLTO bene, ma per la sottile emozione che mi fa provare nel guardarla. E non sto parlando di aspetti erotici, bensì della bellezza ‘pura’ di quella composizione, sintesi perfetta tra forma del linguaggio fotografico, messaggio ed efficacia pubblicitaria.
•purezza degli elementi – La foto come sintesi sottrattiva. L’estremo (e più difficile) è il bianco e nero, quando vengono tolti TUTTI gli elementi di disturbo, compreso (sembra un controsenso e una assurdità) il colore. Rimane la luce come elemento puro e non va sporcata con elementi casuali di disturbo (macchine sullo sfondo, carte per terra, gesti inutili, espressioni casuali). Il soggetto al limite ultimo diviene quasi un elemento stilizzato. Spesso (almeno quelle dei grandissimi fotografi) le foto in bianco e nero sembrano “semplici e naturali” (parfin da qualcuno go sentio dire: “semo buni tuti de fare na foto cussì”).
Ecco, la cosa più difficile in assoluto è fare le cose semplici. Semi semo in tanti invesse.
Il massimo della difficoltà sono le foto paesaggistiche in BN. Mi riferisco alle foto di Adams, delle quali ho avuto la fortuna di vedere alcuni originali e che mi hanno lasciato stupefatto (sulle riproduzioni dei libri è difficile apprezzare).
Dunque la foto va pensata in funzione di chi dovrà guardarla (a meno di un estremo narcisismo, o esibizionismo, che risiede solamente nello scattare senza nemmeno vedere il risultato). Anche se si tratta di una semplice “foto ricordo”. Pur con i nostri limiti e le nostre possibilità.
La fotografia è comunicazione di una emozione. Ma deve essere colui che la guarda che si emoziona, anche se per trasmettere una emozione anche colui che scatta la foto deve emozionarsi di fronte allo spettacolo che sta ritraendo.
L’errore è che spesso la foto è un ricordo “per colui che l’ha fatta o vi è stato ritratto”. Cioè aiuta semplicemente il protagonista a ricordare se stesso. Una specie di quaderno di appunti scarabocchiato.
Ad esempio, il classico caso di chi viene fotografato davanti ad un monumento illustre, dove però il monumento non si vede o almeno non si riconosce o ancora diventa perfino elemento di disturbo. Infatti il soggetto dirà agli amici: “Eco varda qua so mi, so in piassa San Marco”, e nella foto c’è lui come un ‘pampano’ piazzà in mexo ala foto. Non interessa a nessuno, nemmeno agli amici più intimi…
In questa casistica cadono anche certe foto ‘di matrimoni’ fatte magari dal fotografo professionista di paese.
Difatti questa non è fotografia, è qualcosa d’altro che si potrebbe fare anche scrivendo, oppure (come spesso si abusa) filmando con la telecamerina.
Si abusano le tecnologie senza saperle sfruttare come elementi comunicativi (il filmato va usato per altre sue caratteritiche, molto diverse dalla foto, come ad esempio il movimento, la possibilità di creare souspance usando vari elementi – in termine tecnico si dice multimedialità – tra i quali il più importante è il suono o la musica, ecc… il discorso sarebbe enciclopedico).
Di solito quando parli di foto subito ti domandano: “ma che macchina usi?”.
Questo dice che non stiamo parlando di fotografia, ma di tecnologia. Ben altra cosa.
Ecco che quando si cerca di rimediare con la tecnologia, la tecnica fine a se stessa, gli effetti speciali, le stilizzazioni buone per i “concorsi di fotografia”, i soggetti che non si capisce che soggetti sono (per questo ci sono altri sistemi comunicativi, per esempio la pittura…), il risultato non può che essere insufficente e banale.
Il motivo è che mancano le idee, manca la progettazione comunicativa.
Un primo passo, molto semplice, potrebbe essere quello di far vedere (ad altri che non lo conoscono) un posto o far scoprire un oggetto, senza pretese di foto “artistiche”. Che poi non si capisce perché si chiamino foto artistiche certe cose fini a se stesse.
Ad esempio cominciare facendo delle foto di un posto che vai a visitare, ma con il pensiero di far conoscere ad altri quel posto. Con diverse angolature, cercando di trasmettere in maniera più corretta possibile l’atmosfera, il fascino, le caratteristiche di quel posto.
Magari anche facendo vedere nel ‘contesto’ i tuoi compagni di viaggio e quello che i loro occhi hanno visto. Questa sarebbe una bella ‘foto ricordo’, con tutti gli elementi tipici di una foto ricordo compresi anche i tuoi cari ritratti nel luogo che hai visitato.


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