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la fuga di martha

Creato il 11 giugno 2012 da Albertogallo

MARTHA MARCY MAY MARLENE (Usa 2010)

locandina la fuga di martha

La fuga di Martha è il lungometraggio d’esordio di Sean Durkin. Si tratta di un piccolo film poco distribuito anche negli Usa dove, peraltro, il regista ha vinto un premio al Sundance Film Festival. Racconta la storia di Martha (Elisabeth Olsen), che fugge da una fattoria all’apparenza piuttosto idilliaca e per rifugiarsi dalla sorella. Il film procede su questi due livelli temporali: il passato nella fattoria e il presente nella casa per il weekend, su un bel lago del Connecticut.

Si percepisce sin dall’inizio un’eco di Peckinpah, ma anche un po’ del Boorman di Deliverance e dello Shyamalan di The village. Martha viene accolta nella fattoria abitata da quella che, andando avanti nella vicenda, si scopre essere una setta dalle idee un po’ paracristiane, un po’ hippie e un po’ new age: condivisione dei prodotti della terra, dei letti, dei vestiti, delle donne, del lavoro della fattoria, rifiuto del denaro, rigida attenzione alle abitudini di salute… Il guru a capo di questa setta è Patrick (John Hawkes), che ha il tipico aspetto del bifolco americano ma che dispone di una grande cultura personale; il rituale d’iniziazione prevede la violenza (in una delle scene più sorprendenti del film) e il cambio di nome di battesimo delle ragazze (Martha diventa Marcy May). Per contro il presente di Martha, dopo la fuga dalla comune agricola, vede un conflitto mai risolto con la sorella, il rapporto di quest’ultima con il marito e il prezzo dell’accoglienza del “diverso” (Martha, appunto) nel tranquillo, ma fragile, ménage familiare. Di più non si può raccontare, se non si vuole cadere nella spiacevole trappola dello spoiler.

Il film segue appunto questi due livelli, con un’efficace costruzione della suspense: sin dall’inizio si percepisce che c’è stato “qualcosa”, che c’è un segreto o un orrore, ma tutto ciò esita a svelarsi; c’è una violenza che serpeggia e non esplode e i due piani temporali sono efficacemente mescolati e alternati. La regia e il montaggio sono al servizio della storia e della tensione crescente, gli attori hanno le facce giuste (un film prevalentemente al femminile, ma Hawkes-Patrick è perfetto) e ci sono degli efficaci momenti musicali, ma ad affascinare sono soprattutto le tematiche.

La fuga di Martha suggerisce in prima battuta la contrapposizione tra Natura e Cultura, alla base anche di molti western. Martha è protagonista di tre fughe: la prima verso la fattoria di Patrick, la seconda da questa a casa della sorella e la terza, finale, di cui vediamo solo l’inizio e che è più un’imposizione necessaria. Martha realizza se stessa solo fuggendo dalle logiche stringenti della civiltà, filtrate dalla famiglia e ritrovando un contatto con la natura primitiva. Pur plagiata dai due anni passati nella setta, nel film si suggerisce l’idea che Martha sia realmente convinta della necessità di questa esistenza (“Basta esistere”, risponde a chi l’accusa di non pensare alla “carriera”). La cultura (o la civiltà, o la modernità) che viene ritrovata in casa di Lucy e Ted è però, forse ironicamente, un ritorno alla natura portato avanti attraverso una lunga serie di compromessi: per i weekend, infatti, la coppia ha scelto un rifugio immerso nelle rive di un lago, Lucy beve tisane a base di prodotti pseudonaturali e si dedica al giardinaggio, mentre Ted ama la vita marittima o quella sua estrema banalizzazione che può essere un giro in motoscafo. Tuttavia è bandita la nudità o qualsiasi espressione esplicita dell’atto sessuale.

Il film, infine, non racconta nel dettaglio tutte le motivazioni che muovono i protagonisti (si sa poco o niente di come la ragazza sia finita alla fattoria), e pone una serie di interessanti bivi narrativi. A un certo punto, infatti, lo spettatore ha il serio dubbio di trovarsi di fronte a una paranoica, che sia tutto un’allucinazione, oppure che Martha possa fuggire di nuovo. Suggestivo e aperto a molte strade interpretative, La fuga di Martha lascia senza risposta molte domande: lungi dall’essere un difetto della sceneggiatura, questo è invece il suo principale punto di forza.

Marcello Ferrara



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