La furia sulla strada
Creato il 18 maggio 2015 da Elgraeco
@HellGraeco
Unica condizione di George Miller: Mad Max Fury Road, se mai fosse stato girato, avrebbe dovuto essere bellissimo.Bellissimo il mondo post-apocalittico. Colori vividi. Sabbia ocra, luce gialla, polvere. Fanculo al desaturato, a noi piace la fine del mondo ipercromatica e accesa dalle cromature dei pomelli del cambio di vetture poliassemblate, blindocisterne dopate a nitro, infuocata come il deserto della Namibia, ritoccato appena un po’, per rasentare il sublime.
Il sublime di tempeste elettromagnetiche che mangiano il metallo e la carne. Il sublime che ci terrorizza. E che ci attrae senza scampo, facendoci addentrare al di là di confini proibiti.Bellissima la civiltà morente. Morente perché irrigata da sangue marcio, che reca in dono bubboni decorativi, esplosioni di linfonodi con smile tatuati sopra di essi.
La fine arriva con loro, che crescono a grappoli sul collo, o sulla strada, dopo essersi spruzzati vernice spray argentata sui denti.
Ammirateci. Siamo i rimasugli del mondo.
L’estetica, l’arte, la bellezza l’applichiamo alle forme deco-punk dei veicoli che mordono la polvere tra una città e l’altra.Il mondo è suddiviso in settori, custodi di materia elementare: pallottole, gas, acqua. A ogni elemento corrisponde una città.
Le città sono i luoghi in cui radunarsi e aspettare la fine.
E dall’altra parte ci sono loro: le terre selvagge. Là fuori, occupano tutto il resto. Sono il luogo in cui correre. Il macrocosmo di dannazione e redenzione.L’umanità è selvaggia e semplice: c’è chi marcisce e chi corre. Chi fa entrambe le cose.
Perfettamente bilanciata in due sezioni: l’immobilità avvelenata dei sedentari e il filo del rasoio di chi sceglie di continuare a muoversi.Cascate, acqua ben razionata da Immortan Joe (Hugh Keays-Byrne, Toe-Cutter nel primo Mad Max), il vecchio rancido e inquinato, sono l’ultimo appiglio alla vita stolida, che non s’arrende e che alza le mani per ricevere l’elemosina bagnata.
Donne bellissime sono invece segregate per forgiare il figlio perfetto dell’uomo deforme, la cui volontà ha piegato quel che resta del mondo a propria immagine.
Vecchia storia di tutti i potenti e di quelli che si sono lasciati dominare.
Ci siamo abituati.E poi c’è Max (Tom Hardy).
Che è quell’un percento che resta. Lo spirito indomito.
Che non è ribellione al regime, ma è lo spirito dell’uomo: puro e perfetto. Quello spirito teso all’esplorazione perenne, impossibilitato a fermarsi. Suo è il viaggio.
Il viaggio gli appartiene. È la sua natura. Insieme a qualche vendetta occasionale.Dopo tre film, ci si aspettava che Max potesse trovare pace. Sbagliavamo.
Fury Road è compiuto. È l’essenza della poetica che George Miller ci sta sussurrando dal 1979.
E se prima della sete di benzina, in pieno terrore nucleare, questa lezione echeggiava di visione distopica, il nostro mondo dove e come avrebbe potuto finire, ora, nel 2015, Fury Road è ritratto simbolico del nostro presente, dove poche paure sono scambiate con certezze, dove la fuga senza meta è il ritmo che scandisce la nostra esistenza, dove molti si piegano disperati e pochi combattono, perché non riescono a fare altro.
Perché non c’è altro da fare.Probabilmente questo film è la compiutezza del Futurismo. Uomini, macchine e cinetica. Estetica, come già detto, essenziale per far godere agli uomini questo mondo ferito, che in pochi ricordano, e esiziale, perché il paradiso si raggiunge sotto ruote cingolate. Dilaniati.Fury Road è opera che mostra la caparbietà di una specie, quella umana, la capacità di adattarsi a qualunque orrore, a qualunque mondo squarciato e ferito. La fertilità e l’acqua con essa, non più la benzina, è l’oggetto per cui muovere guerra. Omero non sarebbe potuto essere più d’accordo.
Ma qui la fertilità risponde al fuoco, si ribella, schiaccia il vecchiume oppressore, l’arroganza cieca del mostro.
Oltre Max, le donne sono assolute protagoniste. Oggetto del contendere, è vero, ma anche ribelli del proprio fato. Una fuga di donne guidata da un’assoluta Charlize Theron (Imperatrice Furiosa) che è bellissima anche rasata a zero e monca.
E poi donne d’ogni età, guerriere, rugose, custodi della vita, che portano in grembo e nella borsa, semenze che aspettano terra fertile per attecchire, donne che dispensano morte alla bisogna, con fucili di precisione. Vita che le determina, che non è impedimento, che è motivo di forza, di guerra, di affermazione.George Miller è arrivato alla maturità, e ci ha regalato il cantico, la sua ode all’essere umano.E che ne è stato, ancora una volta, di Max?
Nessuno lo seppe mai. (cit.)
Qualcuno ha lasciato una luce accesa, nella notte radiattiva, perché lui possa vederla nel buio e decidere se tornare. Ancora una volta.
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