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La geopolitica dell’Italia secondo Élisée Reclus

Creato il 07 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La geopolitica dell’Italia secondo Élisée Reclus

Élisée Reclus (1830-1905), geografo francese, è considerato un pionere di quella che sarà definita la scuola geopolitica francese. Viaggiatore per necessità (anarchico, è esiliato più volte dalla Francia), si affermò come geografo pubblicando opere sui numerosi paesi visitati. Studente di Carl Ritter, sodale dell’altro geografo anarchico Pëtr Kropotkin, stimato da Alfred Wallace e Halford Mackinder, focalizzò la sua ricerca sull’interazione tra uomo e ambiente, descrivendo il modo in cui quest’ultimo determinava gli stili di viti dei gruppi umani. Una delle sue opere più importanti è la Nouvelle Geographie Universelle, pubblicata nel corso di più anni. Riportiamo di seguito un brano tratto dal capitolo dedicato all’Italia.

 
La penisola italiana è una delle terre più marcatamente delimitate dalla natura. Le Alpi che la circondano a Nord, dai promontori liguri alla penisola montuosa dell’Istria, svettano come una muraglia ininterrotta, senz’altra breccia che i colli situati nella zona delle foreste di pini, dei pascoli o delle nevi. Come le altre due penisole dell’Europa meridionale, la Grecia e la Spagna, l’Italia era quindi un piccolo mondo a parte, destinato dalla sua stessa forma a diventare teatro di una speciale evoluzione dell’umanità. Non sono soltanto le sporgenze del suolo a delimitare la penisola latina: essa si distingue anche da tutti gli altri paesi transalpini per il fascino del clima, la bellezza del cielo, la ricchezza delle campagne; non appena l’abitante d’oltralpe oltrepassa la cresta di separazione e comincia a scendere lungo i versanti assolati, si accorge che tutto è cambiato intorno a lui; è in una terra nuova. Il contrasto è maggiore rispetto a quello che, nella maggior parte delle regioni della Terra, si riscontra tra le isole e il vicino continente.

Grazie al muro di Alpi che la protegge e ai mari che la circondano, l’Italia ha quindi per così dire una personalità geografica ben distinta. Dalle pianure della Lombardia alle coste della Sicilia, tutti i suoi paesaggi hanno dei tratti comuni e sono bagnati dalla stessa luce: hanno una certa qual aria di famiglia; ma che contrasti affascinanti e che varietà pittoresca in questa grande unità! La catena degli Appennini, che si unisce all’estremità meridionale delle Alpi francesi, è l’agente principale di tutti questi contrasti. Prima di tutto essa consteggia il mare come un’enorme muraglia che poggia a tratti su enormi piedi; quindi essa prosegue in una vasta mezzaluna che attraversa la penisola italiana, a tratti riducendosi a una spina, a tratti allargandosi in un massiccio, stendendosi ad altipiano o ramificandosi in catene di montagne più basse e in promontori. Le valli fluviali e le pianure la attraversano in ogni direzione; dei bacini lacustri, ancora pieni d’acqua o già colmi a causa delle alluvioni, si allargano alla base delle sue roccie; dei coni vulcanici, svettanti sopra le campagne, contrastano, per la regolarità della loro forma, con le scarpate irregolari degli Appennini. Il mare, accolto e respinto a seconda delle sinuosità del territorio peninsolare, modella il litorale in una serie di baie che si succedono come seguendo un ritmo; quasi tutte si sviluppano da un lato all’altro in semicerchi regolari. A nord

Carta fisica d'Italia
della penisola, esse sciancrano solo leggermente le terre; a sud, s’estendono lontano fino alle campagne e s’arrotondano in veri e propri golfi. Tra l’altro la forma presente della penisola è relativamente recente; un’antica Italia granitica è probabilmente esistita, e non è più, e l’Italia attuale è quasi interamente di origine moderna, come lo testimoniano le rocce che costituiscono gli Appennini, quelle delle catene parallele e delle pianure intermedie. È solo nell’Eocene che i diversi isolotti si sono uniti in un’unica penisola.

Rispetto alla Grecia, così bizzarramente intagliata e tagliuzzata, l’Italia, per quanto molto graziosa, rimane di una grande sobrietà di linee. Le sue montagne si susseguono in catene più regolari; le sue coste sono molto meno profondamente rientranti; i suoi piccoli arcipelaghi, che si potrebbero vagamente paragonare al cerchio delle Cicladi, sono poco numerosi, e le sue grandi isole, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, sono delle terre dai contorni quasi geometrici e d’aspetto decisamente continentale. Per la configurazione generale delle rive l’Italia segna l’esatta transizione tra la gioiosa Grecia e la severa Iberia, altipiano già quasi africano. La situazione geografica corrisponde così allo sviluppo delle forme.

Nel suo insieme, la penisola italiana è in evidente contrasto con la penisola dei Balcani. Mentre quest’ultima è volta soprattutto verso il mar Egeo e guarda a oriente, la parte veramente peninsulare dell’Italia, a sud delle pianure lombarde, è invece molto più vivace sul suo lato occidentale: sono le coste del mar Tirreno che offrono porti più sicuri e più numerosi; è su questo mare, liberamente comunicante con l’Oceano, che si aprono le pianure più vaste e fertili, e sono quindi le campagne a ovest degli Appennini che hanno nutrito le popolazioni più attive, più intelligenti e quelle il cui ruolo politico è stato più cosiderevole: questa è la costa della luce, mentre il versante adriatico, rivolto verso un mare quasi chiuso, un semplice golfo, è per così dire il lato dell’ombra. Verso l’estremità meridionale della Penisola, le pianure della Puglia a est sono, a dire il vero, più ricche e più popolose rispetto alle regioni montagnose della Calabria; ciononostante la vicinanza delle Sicilia non poteva tardare ad assicurare la preponderanza al litorale occidentale. Ai tempi della massima influenza della Grecia, quando Atene, le città dell’Asia Minore, le isole del mar Egeo, erano il punto di partenza di ogni iniziativa, le repubbliche rivolte a oriente, Taranto, Locri, Sibari, Siracusa, Catania, avevano un’incontestabile premineza sulle città del litorale occidentale. Così, la configurazione fisica dell’Italia ha singolarmente favorito il movimento storico di civilizzazione che si è spostato da sud-est a nord-ovest, dallo Ionio verso i Galli. Attraverso il Golfo di Taranto e le rive orientali della Magna Grecia e della Sicilia, l’Italia del sud era liberamente aperta all’influenza ellenica; è da quel lato che le è giunto il grande impulso vitale. Più a nord, la Penisola volta faccia, per così dire, verso l’ovest; di conseguenza, il movimento d’idee verso l’Europa occidentale si è trovato in gran parte facilitato. Se l’Italia fosse stata diversa per conformazione e contorni, la civilizzazione avrebbe preso una direzione completamente diversa.

Per quasi duemila anni, dall’annientamento di Cartagine fino alla scoperta dell’America, l’Italia è rimasta al centro del mondo civilizzato: essa ha esercitato l’egemonia, sia con la forza della conquista e dell’organizzazione, come lo fece la “Città Eterna”, sia, come ai tempi di Firenze, di Genova e di Venezia, con la potenza dell’ingegno, la relativa libertà delle istituzioni, lo sviluppo delle scienze, delle arti e del commercio. Due dei più grandi eventi della storia, l’unificazione politica dei popoli del mediterraneo sotto le leggi di Roma e, più tardi, il ringiovanimento dello spirito umano, a buon titolo chiamato Rinascimento, hanno avuto i loro principali attori in Italia. È importante dunque ricercare le condizioni geografiche alle quali la penisola latina deve il ruolo preponderante che essa ha giocato nel mondo in queste due epoche della vita dell’umanità.

Il Lazio antico
Mommsen e altri storici hanno evidenziato la fortunata posizione di Roma come centro commerciale. Fin dagli albori della sua storia, essa fu un deposito di viveri per i popoli vicini. Collocata al centro di una cerchia di colline, a cavallo di un fiume navigabile, a valle di tutti gli affluenti e non lontana dal mare, essa aveva inoltre il vantaggio di trovarsi sulla frontiera comune a tre popoli, i Latini, i Sabini e gli Etruschi; quando, con la conquista, essa divenne padrona di tutto il territorio circostante, la sua importanza, come luogo di scambi, non poteva dunque che essere considerevole. Ma, per quanto fosse importante questo traffico locale, esso non sarebbe bastato per fare di Roma una grande città. Questa città non ha affatto, come Alessandria, Costantinopoli o Bombay, una di quelle posizioni incomparabili che ne fanno un punto di convergenza strategico per le merci di tutto il mondo. Per il commercio generale essa è persino piuttosto mal situata. Gli alti Appennini, svettanti a semicerchio intorno al paesaggio romano, non erano affatto facili da oltrepassare, e i trafficanti cercavano di evitarli; il mare vicino a Roma era molto inospitale e il porto di Ostia non offriva che un cattivo rifugio, nel quale nemmeno le piccole galee dell’antichità entravano senza pericolo. Se non fosse intervenuta la mano dell’uomo per scavare un canale marittimo, dei bacini artificiali e per la costruzione di moli, l’imbocco del Tevere non avrebbe mai potuto ospitare un fiorente commercio.

La situazione di Roma come centro di scambi non spiega dunque che in piccola parte la potenza di questa città dominatrice. Indipendentemente dalla cause che devono essere ricercate nell’evoluzione storica del popolo in sé, la vera ragione della grandezza di Roma, quello che l’ha dotata della forza prodigiosa di assimilare politicamente il mondo antico, è la posizione assolutamente centrale che essa occupava, considerando tre grandi cerchi disposti regolarmente in maniera concentrica, e corrispondenti, per la città di Roma, a altrettante fasi del suo sviluppo nella storia. Durante i primi periodi della sua lotta per la sopravvivenza con le città vicine, il popolo che servì da antenato ai fieri cittadini romani si trovava fortunatamente al centro di un bacino ben delimitato da montagne non molto elevate, ma di altitudine sufficiente per metterlo al riparo da incursioni improvvise. Quando Roma, vittoriosa su tutti i suoi vicini dopo lunghi secoli di lotta, ebbe reso schiavi o sterminato i montanari dei dintorni, essa si ritrovò in anticipo padrona dei territori del resto d’Italia, perchè essa ne occupava il centro geografico e il naturale centro di gravità. A nord si estendeva la vasta pianura delle Gallie cispadana e transpadana; a sud vi erano regioni montagnose e disseminate di ostacoli, ma dove la resistenza non poteva rivelarsi efficace, poiché i popoli barbari di questi altipiani e montagne avevano come vicini prossimi, sui contorni della Penisola, i cittadini civilizzati delle città greche. Tra questi due elementi così distinti l’alleanza contro il nemico comune era impossibile, e le stesse città elleniche, disperse su un immenso sviluppo di coste, non seppero unirsi per resistere. Nemmeno le isole italiane, la Sicilia, la Corsica, la Sardegna, erano abitate da popolazioni abbastanza omogenee da sottrarsi alla potenza dei Romani. Così il secondo cerchio, quello della conquista, venne ad aggiungersi al primo territorio, che potremmo definire come cerchio della crescita, e, per un vantaggio inestimabile, il caso volle che le due estremità del mondo italiano, la pianura padana e la Sicilia, fossero due ricchi granai.

L'Impero di Roma
Fornita delle provviste necessarie, Roma poté dunque continuare il corso delle sue conquiste. Così come essa è al centro dell’Italia, l’Italia si trova al centro del Mediterraneo. Da ogni lato essa fece sentire la forza d’attrazione della grande città: sul lato orientale l’Illiria, la Grecia, l’Egitto, nella parte sud la Libia, la Mauritania, a ovest l’Iberia, a nord-ovest le Gallie, a nord i paesi alpini, completarono presto il terzo cerchio, quello dell’impero.

Finché durò l’equilibrio geografico del mondo mediterraneo, Roma conservò la sua potenza; ma i confini dell’universo si allontanarono poco alla volta. Non appena, a causa della guerre coi Parti e le invasioni all’interno della Germania, Roma entrò in contatto, da un lato con l’Oriente, dall’altro con quelle regioni prive di confini conosciuti percorse dai barbari, la “Città” per eccellenza cessò di essere il centro del mondo, e le attività principali delle nazioni europee spostarono i propri focolai verso nord e nord-ovest. Già verso la fine dell’impero Roma fu rimpiazzata da Milano e Ravenna, e quest’ultima città divenne la sede dell’esarca, poi dell’impero dei Goti. La decadenza della città dei Cesari divenne definitiva. È vero che agli imperatori succedettero i papi, anch’essi pontecifi massimi, ma di un nuovo culto; così come l’ombra segue il corpo, la tradizione volle prolungare le istituzioni politiche al di là del loro termine naturale; l’unità della Chiesa rimpiazzò quella dell’Impero. La sovranità di Roma era diventata un vero e proprio dogma, allo stesso tempo politico e religioso. Ma se i papi, conservando il governo delle anime, risiedevano ancora a Roma, fu oltralpe che nel corso del Medioevo, e fino all’inizio di questo secolo, risiedettero i veri padroni del “Sacro Romano Impero”. Essi si recavano in Italia soltanto per cercare la consacrazione della loro potenza, ma la vera potenza la trovavano altrove. Invano i popoli, abituati all’obbedienza, vollero mantenere l’autorità di quella Roma che li aveva così a lungo dominati; il tentativo non poggiava che su un’illusione. Non soltanto l’asse del mondo civilizzato, ma persino quello dell’Italia, si era spostato; è da Pavia, Firenze, Genova, Milano, Venezia, Bologna e anche Torino, che doveva ormai partire l’iniziativa. Se Roma, pur sminuita dalla forza degli eventi, ha ritrovato una certa importanza ed è addirittura ridiventata capitale, è perché l’Italia voleva rivendicare il territorio ad ogni costo e perché, per una specie di superstizione archelogica, essa cerca di prendere il nome di Roma come simbolo della sua futura potenza. Ma per quanto ci si adoperi, questo non è più che un centro artificiale dell’Italia; da mille e cinquecento anni, la storia ha completamente cambiato le condizioni geografiche della Penisola.

Nel corso di questo secolo [l'Ottocento, ndr], l’unità dell’Italia è diventata un grande fatto politico e ormai, ad eccezione di qualche distretto cisalpino dove è ancora presente la dominazione straniera, le frontiere amministrative del paese coincidono con le frontiere naturali. La potenza del fatto compiuto serve dunque a mettere in luce la peculiarità geografica dell’Italia, e ci si stupisce che questa terra sia rimasta così a lungo divisa in Stati distinti. Ciononostante questo grande tutt’uno della penisola presentava delle significative diversità provinciali a causa della disposizione dei suoi bacini e dei suoi versanti. Le isole, le pianure circondate dalle montagne, i pendii scoscesi, separati dall’interno da ripide rocce, formavano altrettanti paesi a sé stanti, dove popolazioni provenienti da ceppi diversi, gallo, etrusco, latino, pelasgico, greco o siculo, cercavano naturalmente di vivere la propria vita, indipendentemente dai vicini. In numerose zone, specialmente in Calabria, le comunicazioni da una valle all’altra erano così difficili, che il mare rimaneva la via più praticata. La forma della Penisola, di cui la lunghezza, dalla Alpi al mar Ionio, è cinque volte la larghezza media, e che gli Appennini dividono in due strisce parallele distinte, rendeva inoltre quasi inevitabile la ripartizione del territorio in Stati separati o addirittura ostili. Talvolta, è vero, le province italiane dovettero subire la dominazione di un unico Signore; ma, fino alle epoche moderne, questa unità fu sempre imposta con la forza e infranta dalle popolazioni stesse. La passione per l’unificazione nazionale, che ha reso l’Italia teatro di così importanti avvenimenti, animava solo un ristretto gruppo di cittadini nelle repubbliche del Medioevo. Esse riuscivano ad allearsi contro un nemico comune; ma, una volta passato il pericolo, separavano nuovamente i propri interessi e si scontravano per delle inezie.

Nel bel mezzo del quattordicesimo secolo, Cola di Rienzo, il tribuno di Roma, fece un appello a tutte le città italiane; le scongiurò di “liberarsi dal giogo dei tiranni e di formare una santa fratellanza nazionale, con la liberazione di Roma come un simbolo della liberazione di tutta la santa Italia contemporeamente”. Questo era già, con cinquecento anni d’anticipo, il linguaggio utilizzato ai giorni nostri dei fautori dell’unità d’Italia. I messaggeri di Rienzo percorrevano la Penisola, con un bastone d’argento in mano; essi portavano nelle città delle parole d’amicizia e le invitavano a inviare i loro deputati al futuro parlamento della “Città Eterna”. Tutti gli italiani ricevevano da Rienzo il titolo di cittadini romani che era stato conferito loro dai Cesari. Ma queste non erano che delle reminiscenze classiche. Rienzo, nutrito dei ricordi dell’antica dominazione, dichiarava che Roma non aveva cessato di essere la “padrona del mondo, ch’essa aveva tutti i diritti di governare i popoli”. Egli desiderava resuscitare il passato, non evocare una nuova vita. Così la sua opera sparì come un sogno, e furono precisamente Firenze e Venezia, le città più attive, più intelligenti d’Italia, che videro nel tentativo del tribuno una chimera da sognatore. Siamo Veneziani, poi Cristiani, affermavano i fieri cittadini di Venezia nel quindicesimo secolo; questi non pensavano minimamente di definirsi italiani, coloro i cui figli avrebbero sofferto e combattuto così valorosamente per l’indipendenza della Penisola. D’altronde non bisogna farsi ingannare: il movimento irresistibile che ha spinto il popolo italiano verso l’unità politica non è affatto scaturito dalle masse, e milioni di uomini, in Sicilia, in Sardegna, in Calabria e perfino in Lombardia, si domandano ancora il senso dei profondi cambiamenti che si sono realizzati.

Fino a poco tempo fa l’Italia non era altro che una semplice “espressione geografica”, utilizzando la definizione sprezzante di uno dei suoi dominatori. Se l’espressione si è tramutata in realtà, il paese lo deve forse alle invasioni così frequenti dall’estero. Sotto la dura oppressione degli spagnoli, dei francesi, dei tedeschi, che scorazzavano a turno nelle loro campagne, gli italiani hanno finito per riconoscersi tra loro come fratelli. A prima vista, si potrebbe credere che la Penisola è protetta perfettamente sul lato continentale dalla muraglia semicircolare delle Alpi; ma questa protezione non è che apparenza. Infatti, è verso le pianure italiane che le montagne mostrano il loro lato più scosceso, quello che pare veramente inabbordabile; ma sul versante esterno, dal lato della Francia, della Svizzera, dell’Austria tedesca, i versanti sono molto più dolci; tutti gli invasori tentati dalla mitezza del clima e dalle immense ricchezze dell’Italia potevano raggiungere senza troppa difficoltà i colli delle Alpi, dai quali potevano poi piombare rapidamente sulle pianure. Quindi la “barriera” delle Alpi in realtà non lo è che per gli italiani; tranne che ai tempi di Roma conquistatrice, questa è stata sempre rispettata da questi, e d’altronde non sono molto interessati a superarla, perchè al di là, nessun’altra contrada rivaleggia con la loro. Invece, i francesi, i confederati svizzeri, i tedeschi consideravano l’Italia come una specie di paradiso. Era il paese dei loro sogni, e questo paese incantato, questa regione così bella, bastava quasi semplicemente scendere dalle montagne per impossessarsene. La storia ci racconta quanto essi abbiano assecondato questi appetiti e insaguinato le tanto bramate pianure! È a questa stessa rivalità tra i vicini, più che alla sua energia, che la nazione italiana deve il recupero della sua indipendenza.

Esposta com’è agli attacchi esterni, e lentamente privata dalla storia della posizione centrale che occupava un tempo, l’Italia ha definitivamente perso il primato o principato che alcuni dei suoi figli, trascinati da un patriottismo esclusivo, vorrebbero restituirle; ma se essa non primeggia più per quanto riguarda il potere politico, e se altre nazioni l’hanno distanziata dal punto di vista dell’industria, del commercio, e anche per il fermento letterario e scientifico, essa rimane comunque senza pari per la ricchezza in monumenti artistici. Già così privilegiata dalla natura, l’Italia, tra tutte le contrade della Terra, è quella che possiede il maggior numero di città notevoli per i palazzi e per i tesori di statue, quadri e decorazioni di ogni tipo. Vi sono parecchie province in cui ogni villaggio, ogni gruppo di case risulta piacevole alla vista, per degli affreschi o delle sculture, anche soltanto per qualche cornicione cesellato, una scalinata arditamente costruita, una pittoresca galleria; l’istinto artistico è entrato nel sengue della popolazione. È con assoluta naturalezza che i paesani italiani costruiscono le loro dimore, illuminano le loro mura, e piantano i loro alberi, in modo da armonizzarli con il panorama circostante. Qui risiede il principale fascino della meravigliosa Italia: ovunque l’arte asseconda la natura per incantare il viaggiatore. Quanti artisti lombardi, veneziani e toscani, il cui nome sarebbe divenuto celebre in qualsiasi altro paese, rimarranno per sempre nell’oblio a causa della loro stessa moltitudine o del caso, che li fece lavorare in qualche borgo lontano dalle strade principali!

Ma non è solo grazie alla bellezza dei suoi monumenti e l’incredibile quantità delle sue opere d’arte che l’Italia ha continuato a primeggiare per duemila anni, e che essa merita di vedere accorrere studiosi di tutto il mondo: è anche per i ricordi di ogni genere che la storia vi ha lasciato. In un paese in cui dei popoli civilizzati si sono accalcati così a lungo, l’origine di ogni città deve necessariamente perdersi nelle nebbie della tradizione e del mito. Laddove si erge oggi una città assolutamente moderna, esisteva un tempo una città romana, a sua volta preceduta da una città greca, etrusca o gallica. Ogni fortezza, ogni casa di villeggiatura ha preso il posto di un’antica cittadella, della villa di un patrizio romano; ogni chiesa occupa il posto di una antico tempio: le religioni cambiavano, ma gli altari degli dei e dei santi si ricostruivano nei luoghi sacri. Così come i morti secolo dopo secolo erano sepolti in una terra che gli auguri e i preti di culti diversi hanno via via purificato. È interessante studiare sul posto queste diverse epoche che si sono stratificate, per così dire, come i resti degli edifici costruiti successivamente sullo stesso terreno. Tutti, persino gli ignoranti, subiscono l’influenza di questa vita dei popoli che si è concentrata così attiva nelle contrade storiche d’Italia: avvertono che tutta questa polvere un tempo era animata.

Dopo un lungo periodo di sconfitta e servitù, la nazione italiana è ritornata tra i primi posti dei popoli moderni. La Penisola è molto cambiata rispetto alle epoche addietro, durante le quali le sue mandrie erranti le valsero, stando a quel che dice Mommsen, il nome di Italia (Vitalia o Paese degli animali); ai giorni nostri le sue pianure così ben coltivate, i suoi mirabili giardini, le sue città commerciali le farebbero ottenere una diversa appellazione. Gli sbocchi delle Alpi e la sua posizione al centro del Mediterraneo le permettono di controllare tutte le vie che, dalla Francia, dalla Germania e dall’Austro-Ungheria, convergono verso il golfo di Genova e di Venezia. Essa dispone di risorse enormi e sempre crescenti grazie alle sue cave, alle sue miniere di zolfo e di ferro, ai suoi vini, ai prodotti agricoli di ogni genere e alle sue varie industrie. I suoi sapienti e inventori non hanno nulla da invidiare a quelli delle altre contrade del mondo civilizzato. La popolazione del paese cresce rapidamente, in maniera molto più considerevole che in Francia, e proporzionalmente alla superficie del territorio è tra le più dense d’Europa, e per l’emigrazione contribuisce più di ogni altra a colonizzare gli spazi vuoti dell’America Meridionale.

(Traduzione dal francese di Giada Affaticati)


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