Giulio Mozzi, scrittore, consulente editoriale, eccezionale promotore culturale non riesce proprio a star fermo. I suoi viaggi in treno sono diventati il punto di partenza per uno dei migliori libri del 2010, lacerti di vita per decodificare i tic degli italiani e della cosiddetta Repubblica delle Lettere. Dopo il bollettino di letture e scritture vibrisse che compie tra meno di un mese i suoi primi dieci anni, le vibrisse-scatole, l’idea bombetta da cui nacque la prima casa editrice anfibia “vibrisselibri”, le vibrisse cartoline, è il momento della Gettoniera.
1. Mozzi, ci spiega la sua nuova idea?
«No. Visto che siamo in rete, metto qui un rinvio all’articolo con il quale l’ho presentata in pubblico».
2. Ha ricevuto molti testi?
«Non so se sono tanti o pochi. Sono quasi duecento. Una cinquantina, però, sono stati mandati da persone che non possedevano i requisiti indicati nell’articolo di cui sopra. A voler essere maliziosi, si potrebbe dire che una persona su quattro, tra quelle che scrivono e hanno desiderio di pubblicare, non è capace di leggere un testo semplice.
Di questi quasi duecento testi, ne ho pubblicati quattro (qui). Quattro testi proponibili, uno su cinquanta, è secondo la mia esperienza una percentuale accettabile. Uno di questi quattro ha suscitato la curiosità di un editore: si tratta di un inizio di romanzo, e l’editore ha chiesto di vederlo tutto».
3. La macchina di Vibrisselibri da qualche mese è ferma. L’entusiasmo iniziale è scemato?
«Intanto è cambiato lo scenario attorno: stanno per arrivare in rete migliaia, decine di migliaia di libri digitali pubblicati dai grandi gruppi editoriali (e anche i “piccoli ma belli” si stanno attrezzando). Come spesso avviene, una iniziativa che nel momento in cui è nata poteva essere percepita come antesignana, è diventata quasi roba da museo.
Poi: sì, si sono fatte sentire la fatica e la frustrazione. Fatica, perché abbiamo lavorato tanto (e gratis). Frustrazione, perché il dorato mondo delle lettere si è prodotto in una delle sue più tipiche operazioni di contenimento: tanti complimenti in privato, e pochissimi appoggi in pubblico. Abbiamo due libri da far uscire, e poi probabilmente ci fermeremo».
4. La sua presentazione porta a porta del “Davide” di Carlo Coccioli ha fatto scuola: adesso pure a Palermo si tenta qualcosa di simile con “Citofonare interno Modus”. Ha in mente altri esperimenti omologhi?
«No. Ma uno analogo sì. Vorrei portare la Gettoniera a spasso per l’Italia. Tipo: annunciare che il giorno tale la Gettoniera è nel tal posto; chi vuole può presentarsi (magari segnalandosi prima, per fare un programma della giornata), e leggere per quindici minuti ciò che scrive. Poi il sottoscritto dice quel che gli pare. E il pubblico, se ce n’è, anche».
5. Lei ha una predilezione per la precisione linguistica che la porta spesso a criticare il dorato mondo delle lettere. Come le infelici domande del questionario di Nazione Indiana.
«Le domande del questionario di Nazione indiana sono infelici non per mancanza di precisione linguistica, ma perché evitano accuratamente di nominare ciò di cui parlano e, nel contempo, chiedono all’interrogato di turno l’adesione a una visione della questione non esplicitata. In parole più semplici: sono ideologiche e strumentali.
Detto questo: credo che sia opportuno argomentare bene ciò che si dice. E credo che “discutere” significhi: costruire e smontare argomentazioni. Che sono fatte di linguaggio.
Ad esempio: tu parli di “predilezione per la precisione linguistica”; in questo modo riduci a un fatto di gusto personale (“predilezione”) quello che per me è un principio etico (“è opportuno argomentare bene ciò che si dice”); e riduci a “fatto linguistico” (e sai che molti intenderanno: “un fatto di forma”) quello che per me è un “fatto dipensiero” (e spero che si intenda: “un fatto di sostanza”).
Se tu dici che una cosa che io faccio non va bene, e spieghi perché secondo te non va bene, siamo tutti contenti. Se invece non dici che non va bene, e intanto la svaluti e la diminuisci scegliendo di nominarla in un certo modo, non siamo tutti contenti: perché almeno uno, cioè io, non è contento».
6. Come procede il percorso del suo primo romanzo “Discorso intorno a un sentimento nascente”?
«Sta lì. Da qualche anno. Ci lavoro a periodi. Non sono soddisfatto».
7. Se dovesse consigliare o riconsigliare tre libri da leggere, quali sarebbero?
«L’Iliade di Omero, il Libro di Giobbe, le Lettere a Lucilio di Seneca. Se volete qualcosa di più moderno, le Operette morali di Leopardi, i Promessisposi di Manzoni, il Waste land di Eliot. Se volete qualcosa di proprio contemporaneo, 2666 di Roberto Bolaño, L’esposizione coloniale di Erik Orsenna, Il suicidio di Angela B. di Umberto Casadei».