27 GENNAIO – Oggi tutto il mondo ricorda, nella Giornata della Memoria, le stragi e gli orrori della guerra nell’anniversario dell’entrata delle truppe dell’Armata Rossa nel campo di concentramento di Auschwitz, con conseguente scoperta di tutti gli orrori che il lager racchiudeva.
Anche se gli anni passano veloci e la memoria si perde nelle polverose pagine dei primi dossier sull’Olocausto; il ricordo delle stragi naziste –antiebraiche, etniche e politiche- sembra tutt’altro che sbiadito. Sempre più spesso, anzi, emergono storie inaspettate, documenti sconosciuti e altre fonti che consentono di ricostruire piccoli frammenti della vita e della morte di milioni di uomini vittime della guerra.
In questi giorni, nella provincia di Vicenza, è balzata alle cronache la storia di Lucia Zoccarato e di sette dei suoi nove figli, trucidati dai nazisti a Oradour-sur-Glane, presso Limoges. 642 persone perirono in quella strage, analoga a quelle di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e delle Fosse Ardeatine. Lucia Zoccarato era moglie del carabiniere Giuseppe Antonio Miozzo, fatto prigioniero dopo l’armistizio dell’8 settembre e deportato in Germania ma sopravvissuto. Assieme a tutta la famiglia, i coniugi Miozzo erano fuggiti da Campodarsego, nel padovano, credendo di trovare in Francia la salvezza dal nazifascismo. Invece, il 10 giugno 1944, avvenne l’imprevedibile: i soldati nazisti presero in ostaggio proprio il piccolo paese di Oradour-sur-Glane e misero al muro di un granaio gli uomini, aprendo il fuoco delle mitragliatrici. Donne e bambini, tra questi Lucia, i suoi figli e un’altra italiana antifascista, Clea Lusina, furono invece vittima delle granate esplose nella chiesa, che prese fuoco condannandoli ad una morte altrettanto orribile. Le uniche scampate all’eccidio furono le figlie Angela e Ofelia, che al momento della strage stavano lavorando in campagna e non furono scoperte dai soldati delle S.S. Il padre carabiniere, invece, era di stanza in un altro paese e non seppe niente della tragedia che aveva colpito la sua famiglia fino alla fine della guerra, quando però gli dissero che i suoi cari erano periti sotto le bombe.macerie a Oradour-sur-Glane
Venti soldati nazisti, tedeschi e alsaziani unitisi alle truppe, vennero processati per la strage. Di questi, due furono condannati a morte ma una successiva amnistia commutò la pena, portando oltretutto alla scarcerazione degli altri gerarchi incriminati. Motivo scatenante dell’eccidio sarebbe stato, secondo chi condusse le indagini, il rapimento e l’assassinio di un soldato tedesco da parte di un gruppo di partigiani. Il corpo del commilitone venne fatto trovare alle truppe tedesche sulla strada che portava a Oradour-sur Glane, ragion per cui le SS del suo reggimento di appartenenza ordinarono la strage.
Alla fine della guerra, il presidente francese Charles De Gaulle dispose che Oradour-sur-Glane non venisse più ricostruita, ma diventasse una sorta di museo a cielo aperto, a testimonianza della barbarie commessa in quel luogo. Ancora oggi si vedono i segni degli spari si muri degli edifici diroccati, a perenne memoria della tragedia.
In uno studio di Marco Borghi dal titolo Per una storia delle stragi naziste aprile-maggio 1945, l’autore ha calcolato che dopo l’armistizio vi furono circa 400 stragi in tutto il territorio italiano. Borghi afferma che molti ritardi nei processi agli aguzzini sono imputabili ad una vera e propria volontà di oscurare le responsabilità, per non danneggiare i fragili equilibri economici creatisi con la Germania dopo la guerra. «Non c’è dubbio –sostiene lo studioso- che questa volontà fu, a pochi anni dall’uscita dalla guerra, presente nei vertici del governo e delle istituzioni italiane. Le recenti (seppur tardive) rivelazioni, anche in sede parlamentare, sull’ “illecita” archiviazione di migliaia di fascicoli relativi alle inchieste, credo abbiano definitivamente confermato le responsabilità di chi, in nome della “ragion di Stato”, ha sacrificato le legittime aspirazioni di giustizia, proiettando un inquietante cono d’ombra sul nostro recente passato». Borghi ha evidenziato come la scarsità di studi sugli eccidi avvenuti in Veneto sia dovuta, anzitutto, alle peculiarità del periodo in cui queste stragi ebbero luogo, quando ormai la Germania nazista era già stata vinta: «La tensione morale e politica che animò le autorità britanniche e americane nel promuovere inchieste e raccogliere prove ed elementi a carico dei responsabili degli eccidi nell’Italia centrale, a conflitto bellico ancora in corso, venne sicuramente diminuendo nel caso del Veneto, territorio liberato contemporaneamente con la totale cessazione delle ostilità». Eppure, anche il nostro territorio ha visto stragi di inaudita gravità. Grancona, Villamarzana, Posina, Granezza, Cansiglio, Pedescala e Villadose sono solo alcuni dei nomi delle località toccate dai massacri delle truppe nazifasciste, sulle quali non è ancora stata fatta piena chiarezza. Soprattutto nei mesi di aprile e maggio 1945, le province di Vicenza, Padova e Verona furono toccate da massacri senza precedenti, dovuti a rastrellamenti-rappresaglia determinati dall’uccisione di soldati nazisti. Spiccano, però, anche azioni eroiche di qualche illuminato che salvò la vita a molte altre persone. A Lozzo Atestino, ad esempio, il 28 aprile 1945 don Tarcisio Mazzarotto si offrì come ostaggio alle truppe tedesche, evitando la fucilazione di altri settanta civili catturati dalle S.S.Oggi che quegli istanti drammatici sono consegnati alla memoria tutto sembra assumere l’aspetto sfumato del racconto che, per quanto accurato, non riesce a rendere giustizia al dolore delle vittime e dei sopravvissuti. Il legame con la storia, tuttavia, è anche questo. Il racconto di un passato scomodo ma vero è una catena che ci riannoda alle nostre origini e ci fa sentire tutto il peso delle scelte di chi ci ha preceduto, e di come quelle scelte hanno determinato il presente.
Silvia Dal Maso
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