Magazine Società
Pochi giorni fa ne abbiamo avuto la prova con la sentenza della Corte d’Appello nel processo alla Thyssen di Torino, una sentenza che non riconosce più la totale responsabilità di chi amministrava lo stabilimento per interventi a garanzia della sicurezza dei posti di lavoro. Ma sono migliaia i morti per incidenti sul lavoro ogni anno che non ottengono giustizia, non solo nei processi ai colpevoli e nei risarcimenti, ma anche e soprattutto nell’impedire che altri ne seguano. Perché la sicurezza sui posti di lavoro sta diminuendo drasticamente, sono costi che la logica politica che difende il profitto non è intenzionata a sostenere: in nome della produzione e di un magro salario si mette a rischio la vita degli stessi lavoratori. E tutto questo avviene senza che ci si possa opporre, negli ambienti di lavoro i ricatti non sono nemmeno più tanto velati, la paura di perdere il lavoro costringe a mettere a rischio la vita, a subire vessazioni e a chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie.
Un altro esempio di come agisca la (in)giustizia borghese si può vedere in un altro processo che si sta svolgendo in questi giorni nel silenzio più assoluto dei media, che si preoccupano di svelarci tutti i più minuziosi dettagli delle indagini di Brembate o del processo di Avetrana, ma che non fanno alcuna menzione di quello alla Marlane di Praia a Mare (CS) che si sta svolgendo a Paola, e che vede imputati per disastro ambientale doloso, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose nei confronti di più di 100 operai morti o malati, personaggi di grido come il conte Pietro Marzotto, il presidente del gruppo Marzotto (ex vicepresidente di Confindustria Veneto) Antonio Favrin, l’ex sindaco di Praia Carlo Lo Monaco oltre e altri 10 dirigenti della fabbrica. Di grido è anche il collegio difensivo che va da Ghedini fino a Di Noia e Calvi. Insomma, il gotha dell’avvocatura italiana contro le vedove degli operai.
Come dicevo, il processo è completamente ignorato dai grandi media, ma in rete si trovano testimonianze agghiaccianti. Questi che propongo sono stralci di udienzeche trasudano una particolare violenza:
la violenza della chimica e della fabbrica, la violenza della malattia, la violenza del dolore delle vedove, la violenza dello scherno subito dagli operai e dai loro congiunti anche durante il processo.
“Venerdì 23 novembre è stata la volta di Farace Rosita, vedova dell’operaio Console Giuseppe. E’ una donna piccoletta, ma piena di energia e forza. Si è seduta, gentile e fragile, sul banco delle deposizioni e dopo aver timidamente ripetuto la formula del giuramento ha sfogato tutta la sua rabbia per quanto avvenuto a suo marito. Il racconto è terribile, commovente. Fa lacrimare gli occhi a molti presenti, non ai cinici avvocati della difesa padronale, che dalla loro trincea, cercano di contraddire la signora, ricordandole alcune dichiarazioni sue fatte nel 2002 a proposito dell’uso del latte nella fabbrica, come disintossicante. La signora Rosita, non ha paura nel dire le cose che ha detto. Un avvocato della trincea padronale ricorda cinicamente che anche suo figlio ha avuto un melanoma , per fortuna guarito, cercando di ammorbidirla, ma la signora risponde subito che “lei e suo figlio sono stati fortunati” . Console Giuseppe era entrato nella Marlane il 1° novembre del 1965 e vi ha lavorato per 28 anni, fino al 20 ottobre del 1992. Lavorava in un piccolo reparto di filatura proprio a ridosso della tintoria. Ne respirava le nebbie, i fumi, le polveri, tutto. La moglie ricorda, che quando ritornava a casa doveva togliersi la tuta fuori dall’abitazione e lei gliela lavava nel cortile per non portare le polveri in casa. Doveva farsi la doccia ogni giorno. La puzza che portava in casa era terribile. Il marito diceva tutto alla moglie di quanto avveniva in fabbrica. LE PARLAVA DI BIDONI AI QUALI TOGLIEVANO LE ETICHETTE DI PERICOLO. Di quando da uno di questi bidoni uscì un liquido che gli finì sulla gamba procurandogli delle bruciature. Delle continue lamentele fatte ai capi dell’azienda, essendo anche diventato un sindacalista della Cisl. Gli dicevano: “Fatti i fatti tuoi”. Poi nel 91 si è ammalato. La donna mostra commossa ed in lacrime la foto del marito. Aveva 43 anni quando morì, lasciando lei vedova ed un figlio di 12 Anni. Rosita, alza la voce, a questo punto, si vede che è molto arrabbiata con i padroni, vorrebbe gridare forse in quella triste sala del tribunale. Poi sviscera piano piano tutto il calvario del marito. L’enucleazione dell’occhio sinistro, i vari ricoveri fra l’ospedale del Cardarelli di Napoli e quello di Praia. Le umiliazioni avute nella fabbrica quando chiese di essere allontanato da quel reparto pieno di veleni e messo a sollevare con un carrello le merci di lavorazione. Console Giuseppe amava il figlio e non voleva farsi vedere in quelle condizioni di malato terminale. Quando per l’ultima volta venne ricoverato al Cardarelli di Napoli, non volle ritornare a casa. Non voleva che il figlio lo vedesse in quelle condizioni e nell’ospedale di Praia spirò. La signora Rosita quando esce dalla sala lascia un’aula raggelata dalle sue parole. C’è quasi difficoltà a riprendere le testimonianze ed il presidente da dieci minuti di sospensione quasi per riprendere fiato”.
Francesco Cirillo su http://scirocco.blog.tiscali.it/2012/11/
“L’udienza del 21 dicembre 2012 è stata caratterizzata da momenti poco edificanti, ad iniziare dall’audizione del primo teste fresco d’intervento per la riduzione della massa tumorale. L’ex operaio già addetto all’impianto di depurazione è stato sottoposto al fuoco incrociato degli avvocati della difesa, senza riguardo alcuno per l’irreversibilità del male e per le condizioni di criticità, essendo questi alla seconda prova dato che la prima era abortita per palese impossibilità a proseguire. La replica la si è avuta col secondo teste già tecnico addetto alla manutenzione degl’impianti e anche questo con patologia irreversibile. E’ stata una vera e propria tortura senza che alcuno spendesse una parola in sua difesa. Gli è stato chiesto insistentemente di descrivere il suo calvario, le caratteristiche del linfoma alla spina dorsale, i cicli di chemioterapia ai quali è stato sottoposto, la descrizione dell’ambiente di lavoro e il numero di sigarette fumate nonché il numero di bicchieri di vino consumati a pranzo e a cena: la logica conclusione è stata un pianto dirotto, mentre tra gli avvocati serpeggiavano stupidi risolini di commiserazione. Il presidente, sempre pronto a commentare la scarsa conoscenza dell’ italiano, non si è sprecato nel difendere il decoro delle persone chiamate a deporre, non lo ha fatto il PM e neppure gli avvocati dell’accusa: e ciò è molto triste. Dei convocati ben cinque erano assenti giustificati perché deceduti”.
Comunicato stampa Slai Cobas Cosenza 23/12/2012
Per finire dedico questa poesia di Carlo Soricelli a questo sistema fatto di illegalità, di commesse senza controlli, di sub-sub-sub appalti che permette margini di profitto a costo zero sulla pelle di quasi millecinquecento persone all’anno.
Morti bianche
Chiamatele pure morti bianche.
Ma non è il bianco dell’innocenza
non è il bianco della purezza
non è il bianco candido di una nevicata in montagna
E’ il bianco di un lenzuolo, di mille lenzuoli
che ogni anno coprono sguardi fissi nel vuoto
occhi spalancati dal terrore
dalla consapevolezza che la vita sta scappando via.
Un attimo eterno che toglie ogni speranza
l’attimo di una caduta da diversi metri
dell’esalazione che toglie l’aria nei polmoni
del trattore senza protezioni che sta schiacciando
dell’impatto sulla strada verso il lavoro
del frastuono dell’esplosione che lacera la carne
di una scarica elettrica che paralizza il cuore.
E’ un bianco che copre le nostre coscienze
e il corpo martoriato di un lavoratore
E’ il bianco di un tramonto livido e nebbioso
di una vita che si spegne lontana dagli affetti
di lacrime e disperazione per chi rimane.
Anche quest’anno oltre mille morti
vite coperte da un lenzuolo bianco.
Bianco ipocrita che copre sangue rosso
e il nero sporco di una democrazia per pochi.
Vite perse per pochi euro al mese
da chi è spesso solo moderno schiavo.
P.S. Il 900 è stato caratterizzato dalla lotta per le 40 ore di lavoro settimanali (ricordate: “Se otto ore vi sembran poche…”?). Domanda: il fatto che l’UE abbia stabilito che si potrà lavorare anche 60, 65 ore a settimana aiuterà a prevenire gli incidenti sul lavoro oppure no?
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COMMENTI (1)
Inviato il 27 aprile a 17:38
*Senza poi contare che in Italia si costruiscono macchinari da lavoro marchiati CE e poi venduti in Italia e nel mondo da multinazionali presenti in Italia come esempio gru semoventi (cranes) e gru a torre dove i saldatori sono assunti precari a contratti di somministrazione interinale con altra mansione "per risparmiare" così per mesi e annile gru sono state saldate SENZA patentini di saldatura e rispettive visite mediche corsi inerenti alle sicurezze DL.gs 81/2008 e scoperte con prove testimoni e NON poche fotografia a prova..diversi telai con saldature soffiate (bucate) e mancanti ma messe in vendita ugualmente senza saldare i difetti..e tutto l'insieme negativo in futuro potrebbe creare danni a chi adopera codeste gru...certo può accadere come non accadere ma in tanto sono reali fatti che taluni con nomi precisi occultano ! L'Italia è la solita pessima Italia dove chi denuncia viene denunciato perché sa codesti fatti veri ! E messo pure in disoccupazione ed i testimoni con il tempo vengono dispersi..restano le tante fotografie "per fortuna" caso mai vi fossero infortuni o peggio incidenti mortali saranno richieste..dagli Investigatori dei vari Tribunali..per le dovute indagini sempre..dopo..mai prevenire sapendo già dei fatti! E gli infortuni le morti bianche in Italia sono una guerra aperta che fanno vittime ogni giorno! E a volte si potrebbero anche evitare.. ma costa evitare si preferisce giocare alla roulette russa se la va la spacca con le probabilità che l'incidente non avvenga in tot.anni ..Morando *