Col mio solito ritardo ecco che vengo a reperire film dei quali si è parlato per mesi. Puntualmente la mia visione viene quando il cianciare in merito si è del tutto estinto, ma in questo caso va diversamente. Perché infatti quest'ultima fatica del napoletano Paolo Sorrentino è stata nominata agli Oscar come miglior film straniero, e quindi tutto il cianciare in merito sta allegramente riprendendo. Perché questo è un film nostrano che ha saputo dividere come pochi altri avevano saputo fare in tempi recenti, cosa che aveva adescato molto furbamente la mia assidua curiosità. Che poi in quest casi il più delle volte è scontato, io sto sempre furbescamente nel mezzo, acquietando le acque e rigando dritto in maniera indolore per la mia strada. Ma quando un autore mi piace molto come sorrentino, che anche quando non dice nulla ha quel suo modo tutto suo di dire le cose, non sempre riesco a essere obiettivo, e in certi casi questo dualismo mi manda la testa in pappa. In questo caso posso dire che è stato così.
Gep Gambardella è un giornalista di costume. Da giovane scrisse il libro L'apparato umano e, nonostante gli ampi riconoscimenti, non ha mai fatto un altro tentativo. Quotidianamente inganna la sua noia di vivere in feste e festini, ma ora che ha superato i sessant'anni sente un certo timore di vivere. Sarà l'apprendere della morte del suo primo (e probabilmente unico) amore che gli darà la scintilla che gli mancava.
E' difficile dare un giudizio specifico su un film come questo. Molto difficile. Perché è un film che si prende oscenamente sul serio [a confronto Nolan è un esempio di modestia] e che proprio per questo motivo fa risaltare i moltissimi errori dentro di sé. Moltissimi errori, che però vengono offuscati da una miriade di pregi che ne offuscano la visuale. Un gran risultato, certo, ma alla fine se ragionato a mente fredda gli errori rimangono. Rimangono e se ne stanno lì, ti guardano da lontano, perché tu sei impegnato a guardare altro. Guardi i meravigliosi scorci di Roma, splendidamente fotografata e inquadrata nei suoi monumenti più tipici e da cartolina senza però che si abbia questo effetto. Una roma che mostra una moltitudine di persone, dal ciccionazzo che si rinfresca in una fontana all'uomo che manda il proprio compre a 'pijarselo in ter culo'. Roma, così bella che un turista giapponese muore di infarto nel vederla in tutta la sua interezza. Una città bellissima, ma molta della gente che vi abita è intenta a guardare altro. Ed è così che siamo catapultati nel mondo di Gep Gambardella, un uomo che vive nelle feste mondane e che alla bellezza dei monumenti ha sostituito quella di personaggi e vip assurdi fino allo sfinimento. E' un uomo sagace, che ha scritto un libro meritevole ma che poi per più di trent'anni è stato afflitto dalla sindrome da pagina bianca. Non ce l'ha fatta a scrivere perché cercava la grande bellezza, senza rendersi conto che ce l'ha sempre avuta sotto gli occhi. E' la vita la grande bellezza che si va a cercare, sommersa dal blablabla e dai rumori della gente (come dice verso la fine). La stessa vita che riserve certe batoste non indifferenti, come il mancato primo amore che lo tormenta ancora, ma che per quello che ci fa diventare finisce con l'essere quanto di più bello ci sia. Sorrentino dice tutto questo nella sua pomposa maniera, con dolly e carrelli spropositati e una voglia di prendersi sul serio eccessiva, che però si bilancia con quanto mostra. Situazioni surreali e quasi felliniane (e non citerò La dolce vita perché sennò cadrei nell'ovvio) che si sposano al classico personaggio malinconico interpretato dal suo attore feticcio Toni Servillo. Un film che brama ad essere perfetto ma che finisce per ingarbugliarsi da solo, con scene forse fin troppo esagerate e momenti abbastanza ripetitivi. Tutte cose che potrebbero definire il collasso di un qualsiasi film, ma che grazie allo stupendo linguaggio qui diventano una parte integrante dello stesso. Quello che abbiamo alla fine è un film ad un passo dall'essere un capolavoro, che forse andrebbe visto proprio per rendersi conto che talento e capacità in Italia ci sono in abbondanza. Ma è un film straordinariamente recitato, a partire da un Carlo Verdone che interpreta forse il perso
naggio meno facile di tutti, quello più tragico, quello che era più semplice far scadere nella macchietta ma che grazie anche alle sue doti acquista una dignità non indifferente. Poi c'è anche la bella Isabella Ferrari, sempre brava ma relegata forse in una parte troppo breve e non essenziale, fino alla finta oca Sabrina Ferilli, che ha modo di sfoggiare il proprio talento sepolto come non mai. E poi c'è Roma, con tutta la sua bellezza che però, come tristemente accade nella realtà, viene ignorata a favore di un bello più frivolo ma più tangibile e comprensibile, uno di quelli che non rischia di far morire dalla gioia di uno sguardo.Questo è cinema, signori. Un cinema italiano, coi suoi pregi e i suoi difetti, ma che dimostra che di cartucce da sparare ne ha ancora molte.Voto: ★★★★