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Ora Jep ha 65 anni ed è un'ottima occasione per guardarsi indietro, a quello che (non) è stata la sua vita e al suo vagheggiare della grande bellezza, persa ormai da tempo, che coincide con un amore di gioventù che ancora giace lì ,incontaminato , a scaldare un po' il suo cuore avvizzito dagli anni....
Da buon ultimo arrivo a parlare del film di Paolo Sorrentino che dopo quindici anni ha riportato in Italia l'ambitissima statuetta di nome Oscar. Una vittoria annunciata quanto si vuole, con Paolo che da buon napoletano scaramanticamente evitava di toccare l'argomento vittoria, ma finchè lo zio Oscar non è stato in mano a Sorrentino, tutto poteva ancora succedere.
E tralasciamo anche quell'inglese che ha fatto apparire come fine dicitore oxfordiano anche il Rutelli di quello spot in cui accorato diceva " Please ...visit Italy..."
Parliamo solo del film che ha , tra gli altri, il merito indiscusso di far uscire il nostro cinema da quel triste e un po' bieco provincialismo in cui era scivolato ultimamente, incapace di rischiare in nuovi autori e cristallizzato, per non dire mummificato , nella proposizione di un unico genere, la commedia e la più nazional popolare possibile. Ecco, detesto essere preso per imbecille dai distributori di cinema italiano, tutto deve essere semplificato al massimo e tutto perfettamente comprensibile, al grado zero di complicazione.
La grande bellezza in questo senso è un film ammirevole, che coccola lo spettatore, lo invita a interagire e a non subire passivamente, lo prende per mano e lo porta a spasso in un mondo di macerie, quelle dei salottini romani fintoculturali in cui i vari invitati non fanno altro che spruzzarsi addosso generose dosi di veleno.
E Jep Gambardella è uno specialista in questo senso: fine osservatore, il carisma da gigante in un mondo di nani e ballerine, il suo magnetismo è amplificato dalla nullità che lo circonda, un mondo di monnezza vera e virtuale in cui l'egotismo del giornalista emerge prepotente e presuntuoso sia nelle feste a cui partecipa , sia nelle poche relazioni umane che coltiva, quella con il suo amico Romano, l'esegesi dello scrittore e artista fallito, e quella con la ballerina di strip club Ramona che sono perfette esemplificazioni del vuoto che circonda il protagonista e che è dentro di lui.
La grande bellezza è un film di zombie in cui Jep Gambardella sembra essere l'unico sopravvissuto , allorchè si immerge nella magnifica alba romana , in una silenziosa passeggiata sul lungo Tevere confondendosi nella luce del sole che si sta alzando sull'orizzonte e nel riflesso delle acque una volta cristalline.
Sorrentino con la sua regia a tratti virtuosistica e un filo presuntuosa ma adattissima a descrivere tale contesto, non racconta una storia organica , La grande bellezza non è come una di quelle canzoni da hit parade in cui alla strofa succede sempre il refrain che deve rimanere ben fisso in testa, è più che altro una lunga suite strumentale che disegna sensazioni, racconta sfumature d'animo, si cimenta nella difficile arte di visualizzare ciò che visualizzabile non è: il vuoto interiore che attanaglia il protagonista arrivato a un punto nella sua vita in cui è normale guardare indietro a ciò che si è fatto e tirare le somme, ma anche quello che lo circonda, quello delle notti romane che gli hanno fatto perdere la grazia dei giorni della sua ormai passata giovinezza.
Tra preziose suggestioni felliniane ( tra La dolce vita e Roma passando per 8 e 1/2 ) echi de La terrazza di Scola e forse qualche autocitazione di troppo ( Il divo ) La grande bellezza è un film visivamente ricchissimo che procede spedito tra immagini di bellezza inaudita , sprazzi di velenoso cinismo ( un cult la disamina di Jep della vita della sua amica, scrittrice raccomandata e miracolata di una certa classe politica ) e immersioni nella spazzatura totale di feste in cui la Carrà viene mixata da Bob Sinclar , cioè aggiungendo trash al trash, una sorta di monnezza musicale al quadrato.
Toni Servillo è immenso, lancia le sue battute con noncuranza disegnando un personaggio che rimarrà negli annali della storia del cinema italiano, Verdone dà libero sfogo alla sua vena di patetismo mai esplorata a fondo nei suoi film mentre la Ferilli si mette generosamente a nudo, sia fisicamente che metaforicamente.
E rimane anche negli occhi quella Serena Grandi che recita nella parte sformata di se stessa, ex icona erotica degli anni '80, ora caricatura boteriana che testimonia col proprio corpo lo sfacelo irrimediabile di una generazione.Ed è da ricordare pure il cardinale recitato dal sublime Herlitzka che è più a suo agio a parlare di cucina che di spiritualità, viisto che è costantemente oscurato dalla presenza di una sorta di suora mummificata, una madre Teresa di Calcutta decrepita e mostruosa, con la bocca marcia e che si contrappone al suo edonismo sfrenato.
E forse è proprio questo: il film di Sorrentino è il racconto del fallimento e dello sfinimento della generazione che va dai 50 ai 60 , una favola macabra in cui non c'è il vissero felici e contenti ma solo un qualcosa in gola che blocca quasi la respirazione.
E il calore gioioso del ricordo permette di vivere in mezzo alle macerie di cui sembra essere fatto il mondo di Jep Gambardella, unico vivo in un mondo di morti che hanno l'illusione di essere viventi.
Ma forse Jep è morto anche lui come tutti gli altri.
Ancora non lo sa, sospeso come è in un limbo da cui tutto vede senza quasi esser visto.
Perfino lui, con la sua aria di superiorità , sarà inghiottito da quell'abisso senza fondo in cui è scivolato.
Horror vacui.
( VOTO : 8 / 10 )
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