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La storia, di primo acchito, pare scontata. Uno scrittore anziano, Gep Gambardella, con in attivo un solo (e unico) libro di successo, ha perso l'ispirazione e, per ritrovarla, dovrà vivere alcune esperienze di perdita affettiva, relazionale ed esistenziale. Giunto al limite del vuoto, perso il significato e le persone a lui più care, sguazzato nel nulla cadenzato di mattine senza qualcosa da fare, incontra la spiritualità e trova il coraggio di porre la domanda che conta e che lo ha bloccato per una vita intera: "Perché la donna che amavo mi ha lasciato?". Non solo quesiti rilevanti per l'esistenza. Anche risposte, quelle vere, di valore: "Perché hai smesso di scrivere?" risuona da tante voci in tutto il film. Mai viene data la giusta risposta, quella capace di cambiare l'esistenza e di rimetterla in moto, portando energia e linfa, un respiro di libertà nell'animo umano. Questa domanda è suona come: "Perché hai smesso di vivere?". La risposta finale, circondato da cicogne, simbolo per eccellenza di nascita, è: "Perché cercavo la Grande Bellezza".
Cos'è la Grande Bellezza se non quell'esperienza estatica e rivelatrice, capace di inondare l'occhio, fluire nel cuore, spalancando l'orizzonte, generando una libertà matura e connessa con l'ordine delle cose? Una bellezza così potente da aggiustare tutti i cocci sparpagliati sotto le nostre scarpe e magica a tal punto da farci scordare, lasciandoci consapevoli, le bruttezze dell'esistenza, poderosa dal renderci capaci di guardare ad esse cogliendone le loro bellezze, nonostante tutto. Lo scrittore la trova, questa grande bellezza: davanti a lui, il Colosseo illuminato dall'alba, il cielo solcato dallo stormo in migrazione, il silenzio della capitale ancora addormentata.
Il film è attraversato da voragini di quiete e silenzio ammantati di spiritualità e meraviglia in contrapposizione al caos volgare e trucido di feste della "Roma Bene". La fauna umana è un'insieme di stereotipi e personaggi realmente esistenti a Roma, esattamente ora, sia nelle borgate, sia nelle più elevate sfere della ricchezza inaudita.
La Grande Bellezza ben racconta l'andare avanti cercando un'emozione, una vibrazione, quel caso di indefinito che ti fa sentire vivo, per un momento: la droga, l'alcool, gli eccessi, la prostituzione, i gioielli, i vestiti stravaganti, i selfie su Facebook. Tutto per sentire di valere, di importare, di provare qualcosa, di esistere e di non essere degli zombie, nella vacuità dei rapporti interpersonali, nella falsità delle menzogne raccontate per necessità esistenziale di sentire di valere qualcosa per davvero. "Me ne vado, Roma mi ha deluso" dice uno dei pochi amici di Gep, riuscito a realizzare il sogno di portare a teatro un suo lavoro e, proprio nel momento del successo, capisce che tutto ciò che ha intorno, per cui ha speso speranze, era nulla. Perdita di senso, perdita d'anima, viaggio per ritrovarla, tornando alle origini. Tutti i viaggi del film portano alle radici, come quelle mangiate dalla suora mistica: "Perché le radici sono importanti".
Roma è tutto questo, porta a queste abbaglianti illuminazioni e tragiche perdite d'anima ed è, come la vita, identica al quadro dipinto dalla bambina in preda a uno stato alterato di coscienza: terribile e magnifico, allo stesso tempo. Persino questa giovane pulzella diventa simbolo di una realtà quotidiana: il vuoto che circonda i bambini, riempito dalla creatività usata dai genitori per guadagnare denaro, reputazione, posizioni.
L'assenza delle persone comuni, del traffico e dei problemi che la gente qualsiasi della capitale vive ogni giorno, non sono mancanze: sono dettagli per rimarcare la differenza e distanza abissale fra mondi irraggiungibili: l'universo dell'attico fronte Colosseo non si mischia alla massa urbana e non ne viene mai contaminato. Viaggia nell'esclusività, nel lusso, nei luoghi irraggiungibili dai comuni mortali. E pur nel tutto, il niente e il niente per trovare il tutto.
Su Twitter, La Grande Bellezza ha scatenato moltissimo chiacchiericcio e scambio di opinioni. Persino Twitter, nel contesto della Grande Bellezza, è divenuto parte del film, entrando nello stereotipo: i favorevoli, i contrari, gli insulti agli uni e agli altri perché l'altro manifestava opinione diversa, le battute ironiche taglienti. Il rito che si ripete ogni qual volta c'è un evento da giudicare, sprezzanti di tutto, impugnando il potere di un tweet per demolire o innalzare perché infondo, nonostante i container di articoli sull'uso dei social, nessuno insegna il rispetto dell'altro e del lavoro svolto, la capacità di guardare senza per forza alzare l'ascia delle battute secche per stroncare o decantare un grande impegno concretizzato in un Premio Oscar.
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