Ciondolando da un social network all’altro mi è parso di capire che il titolo cinematografico si sia imposto quasi come uno slogan che riguarda ciascuno. È stato come ritrovare una vecchia lente di ingrandimento in un cassetto chiuso a chiave per tornare a guardarci intorno.
La grande bellezza non è lo sguardo cocciuto che rende strabica la nostalgia, nel rimpianto della giostra felliniana che vestiva Roma di sogni ed eleganza. La grande bellezza è piuttosto lo stupore di un Paese che non è soltanto corruzione, mostruosità, rassegnazione. È come se, svegliandoci da un brutto sogno, avessimo messo al guinzaglio l’essere brutti, sporchi e cattivi.
La grande bellezza è nell’arte che popola lo stivale italiano che, quasi come un paradosso, fa andare in frantumi la Pompei archeologica. La grande bellezza è nei sogni discreti di quella minoranza stanca del populismo politico e culturale. La grande bellezza è nelle donne che guerreggiano contro il maschilismo che preferisce un ramo secco al posto della freschezza di una mimosa. La grande bellezza è tra gli impavidi che non ci stanno a vedere il futuro della propria terra crescere sotto il ricatto della diossina e della criminalità. La grande bellezza torna nel palmo della nostra mano, appena stacchiamo la maledetta spina della routine che ci condanna alla distrazione e alla superficialità.
Paolo Sorrentino non ha regalato all’Italia una pregiata statuetta ma uno spunto per tornare ad arare il campo della grande bellezza di cui vorremo parlare. L’euforia passeggera di un trionfo può lasciarci addosso la paura di perderci nel buio; un film che ci fa dondolare come su un’amaca può sottrarci al terrore di guardarci intorno.
E in questo momento ne avevamo davvero bisogno.