La Grande Bellezza: un romanzo sul niente?
Creato il 23 maggio 2013 da Aleister94
Prima o poi, presto o tardi, arriva il tempo in cui un autore, che sia veramente tale, cerca di creare un'opera che sia la summa del suo modo di fare arte e della sua personale concezione della vita in un determinato momento storico, in una data società e in una data città, Roma, co-protagonista silenziosa, totalmente muta in certi momenti, in altri invece terribilmente rumorosa e assordante. Il manifesto di questo punto d'arrivo, di questo traguardo intellettuale e artistico se vogliamo, del regista-sceneggiatore Paolo Sorrentino sarebbe contenuto nell'intenzione dell'autore in questa pellicola, La Grande Bellezza, che dopo la riflessione sul Potere mediante la figura simbolica di Andreotti ne Il Divo (2008) e il viaggio di redenzione di This must be the place (2011), costituisce una sintesi del cinema di Sorrentino, ma ne apre anche nuove prospettive. Si avverte fin dall'inizio della pellicola un' unione/opposizione fra due realtà: una costituita dal grottesco, il bizzarro, la decadenza delle feste della ''dolce vita'' di Roma, l'ipocrisia da salotto radical chic; dall'altro scorci della bellezza antica dell'Urbe che riveste e dietro cui si cela tale decadenza, con il Colosseo, le Terme di Caracalla, i Fori Imperiali, il Tevere stesso. Queste due realtà si rispecchiano e convivono nel protagonista del film, Jep Gambardella (interpretato da uno straordinario Toni Servillo), giornalista di un settimanale, romanziere che ha scritto un solo romanzo più di 30 anni prima. Jep vive immerso nella mondanità della Roma delle discoteche, delle feste dei vip, dei salotti e degli scandali giornalistici. Questa vita che egli stesso definisce un'esistenza basata sul ''niente'', lo assorbe tanto da impedirgli di ricominciare a scrivere; gli manca il materiale da cui trarre ispirazione, essendo assuefatto dal ''niente'' della sua vita. D'altronde, ammetterà, non essendo riuscito nemmeno Flaubert a poter scrivere un romanzo sul niente, come può pretende di riuscirci lui?Jep, durante uno dei tanti monologhi interiori che caratterizzano il film, afferma che ha voluto vivere a Roma non soltanto per fare vita mondana, ma per essere il ''re dei mondani'', non solo per ''partecipare alle feste'' ma per avere pure ''il potere di farle fallire''. Una vita da bohemienne di Roma (anche se di origine napoletana), festaiolo e nullafacente, che vede la vita in modo disincantato, senza illusioni, nel ricordo del suo primo e unico successo letterario giovanile, riservando battute taglienti e pillole di disillusione ai suoi amici. Jep però non è solo questo. Dice di aver deciso di vivere a Roma per cercare ''la grande bellezza'', una ricerca durata 40 anni ma mai giunta ad un risultato a quanto afferma malinconicamente, osservando le meraviglie di Roma come un girovago inquieto cercando una sorta di innocenza perduta, un ideale puro nella decadenza che lo circonda e di cui è un protagonista attivo. Questo esteta decadente, che ricerca sensazioni di piacere ad ogni costo, che vive per l'arte anche se non riesce a realizzarla, comincia però a percepire anche la morte intorno a lui, la sua indifferenza e la sua disillusione vengono messe in discussione da diversi avvenimenti. La donna che era stata il suo primo amore di gioventù muore; a questa donna, ricollegava una sorta di passione pura, innocente, la ''grande bellezza''. Jep viene a sapere dal marito che anche se avevano perso i contatti da almeno 30 anni, lei aveva continuato ad amare lui. Muore per un male incurabile anche la figlia (un ottima S. Ferilli) di un suo amico proprietario di un night club, con cui trascorre gli ultimi giorni facendola partecipare alle sue feste e portandola a visitare le opere d'arte dei palazzi nobiliari romani. Il suo amico Romano, scrittore teatrale fallito, interpretato intensamente da Verdone, lascia Roma dopo 35 anni, non riesce più a sopportare la mondanità romana, non riesce più a vivere di '' niente'', torna a casa sua in provincia. La svolta sembra arrivare con l'arrivo a Roma di una suora ultracentenaria che Jep deve intervistare detta ''La Santa'': dall'incontro con questa donna, forse comincia a credere che la sua vita fondata sul ''niente'' non è stata inutile, la sua ricerca della ''grande bellezza'' non è stata sprecata. Proprio nella sua vita miserabile e apparentemente insensata, come la vita di tutti noi, sotto il ''chiacchiericcio e rumore'' ci sono ''sparuti incostanti sprazzi di bellezza'', dentro quel niente c'è ancora qualcosa da salvare, qualcosa da raccontare e di cui scrivere: il romanzo che deve scrivere, questo romanzo sul niente può avere inizio secondo Jep.
Niente che dire: l'interpretazione di Toni Servillo contribuisce a rendere questo film (altrimenti difficile da rendere godibile agli spettatori senza un interprete di questo calibro) una sorta di riflessione sull'arte e sulla vita dell'uomo contemporaneo condotta in maniera disincantata e ironica, in certi momenti fredda, a cui seguono momenti di grande pathos (la scena in cui Jep ricorda il suo incontro con la prima ''fiamma'' in gioventù) a cui si contrappongono le scene contraddistinte da inquadrature di figure grottesche (il capo di Jep nana alla fine di una festa, vecchie soubrettes decadenti, feste pacchiane) ricorrenti nello stile di Sorrentino (come ne Il Divo). Tutto questo circo di maschere, questa galleria di personaggi, lo spettatore li vede e li interpreta attraverso lo sguardo di Jep-Servillo, che coglie il lato grottesco, nel senso pirandelliano di tragi-comico, della sua vita. Ma, al contempo, Jep cerca di trovare dietro ''l'uomo miserabile'' questi ''sprazzi di bellezza'', attimi, sguardi, parole, che mostrino anche l'altra faccia, forse più consolante della vita contemporanea. Il monologo interiore del protagonista caratterizza quest'opera, in certi momenti allucinata e volta a rappresentare un vitalismo senza limiti nelle feste della Roma mondana con campi lunghi che inquadrano una sorta di baccanale di gruppo irrefrenabile in cui la cinepresa si ''immerge'' con l'intenzione quasi di trascinare anche lo spettatore nella festa. Grandiosi i campi totali dei monumenti di Roma, inquadrati in certi momenti quasi come una soggettiva dal punto di vista del protagonista che osserva ad esempio il Colosseo, praticamente sotto casa, dal balcone della sua terrazza. Numi tutelari del film di Sorrentino sono da considerarsi a parere di chi scrive due film di Federico Fellini, di cui Jep-Servillo con la sua interpretazione crea una sintesi dei rispettivi protagonisti: La Dolce VIta (1960) innanzitutto, come Mastroianni, Jep è un giornalista scandalistico che vive la mondanità romana, partecipando a feste e orge varie, ma al contempo è alla ricerca di una bellezza ideale, di un'innocenza perduta irraggiungibile; Il Casanova di Federico Fellini (1976), come il Casanova, Jep sembra vivere quasi schiavo di un meccanismo che lo obbliga a vivere in funzione dell'attività esclusivamente sessuale, in fin dei conti disprezzato e usato dagli altri, ma anche lui ricerca nell'illusione, nell'arte un senso alla sua vita: Jep deciderà di scrivere finalmente il suo romanzo, constatando infatti che ''tanto, è tutto un trucco''. Una chicca: durante il film un cameo di Antonello Venditti che interpreta se stesso, seduto al tavolo di un ristorante che saluta il suo ''vecchio amico'' Jep. Film di questo pregio fanno continuare a sperare in una rinascita, che (affermo ottimisticamente quanto in modo azzardato forse!) è in corso nel cinema italiano anche grazie a registi come Sorrentino e ad interpreti come Servillo, che credono che ancora lo spettatore sia in grado di avere intelligenza e sensibilità. La Grande Bellezza è attualmente in concorso al Festival di Cannes 2013.
di Andrea Raciti
Voto: *****
Regia: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura: P. Sorrentino,U. ContarelloProduzione: F. Cima, N. GiulianoInterpreti principali: T. Servillo, C. Verdone, S. FerilliGenere: GrottescoAnno: 2013
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