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La grande bellezza (x-5minuti)

Creato il 03 marzo 2014 da Zero @zeroblogtw

La grande Bellezza ha vinto gli oscar. Al dilà dei vari discorsi della stampa ufficiale, sul lasso di tempo tra questa vittoria e quelle precedenti, discorsi decisamente sterili ma che in Italia hanno sempre avuto successo (da molto più tampo di quanto pensiate!! Leggetevi il primo volume dei Quaderni del carcere di Gramsci e scoprirete che pure lui si crucciava su questo!)

Beh, ha vinto ed è un gran bel film. Se escludiamo i 5 minuti precedenti al finale ovviamente! A mio avviso determinati da fattori esterni: il film prima, This must be the place è stato un flop pazzesco al botteghino. Del resto è un film quasi d’essai, che parla di americani e agli americani non piace che qualcun altro parli di loro, se poi lo fa in modo intellettuale, beh, a loro (pure a me a dire il vero) piacciono i mascelloni con il mitra che dicono una marea di cavolate e fanno esplodere gli alicotteri-cfr Schwartzy che interpreta Amleto in Last action hero).

E da qui avviva la banca popolare di Vicenza etc a produrre il film! E da qui, senza dubbio, quei maledetti 5 minuti di didascalie totalmente superflue e per me fastidiosissime. Quelli con la monaca che praticamente fa un riassunto del film, e lo spiega, e del mafioso che deve dire la sua frase, che è uomo colto etc, insomma una specie di malvagio sì, ma cavaliere, altra cosa tipica dell’immaginario più triviale dell’italianità.

la_grande_bellezza-banca_popolare_di_vicenza

Il resto del film però è davvero bello, offre numerosi spunti di riflessione sulla inutilità e sulla vuotezza di molte cose, una su tutte la bambina pittrice, che si ritrova ad essere costretta a dipingere, mentre lei vorrebbe giocare e vorrebbe fare la veterinaria.

Non serve che aggiunga altro sulle feste e sul loro vuoto, è fin troppo ovvio.

Ultima annotazione il simbolismo della Concordia. Sarebbe bastata quella inquadratura a spiegare il film, e non la stramaledetta suora. Il senso di disfatta di un mondo votato al lusso al consumo (pulsione di morte bla bla vedi M. Recalcati e le sue scopiazzature).

Il messaggio conclusivo del film, l’abbandono di Roma fattasi centro del nulla, per ritornare alle radici, agli anni delle speranze, della bellezza (non entro nella discussione del concetto di bellezza-l’italia non funziona, ma mamma-mia-quante-cose-belle-c’abbiamo<—declinazione banale del concetto qui in qualche modo sublimato).

Per ripartire da qualcosa che sia vero.

E poi c’è sempre la Ferilli lì che, a dispetto dell’età è, da nuda, beh, insomma ci siamo capiti. (P.S. Io sono rimasto sorpreso dalla sua interpretazione davvero ammirevole del ruolo, per dirla tutta ero convinto che facesse un po come quell’altra in Matrix, na roba da mani nei capelli)


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