Sarebbe veramente un peccato rinunciarvi, come lo sarebbe il pensare che tanto risposte non ce ne sono.
«A tredici, a quattordici anni io vivevo prevalentemente per strada. Ogni tanto passavo la notte da qualche amica che abitava in campagna. Invece di dormire, trascorrevamo il tempo sdraiate nei campi, incuranti del freddo, dell’umido, e interrogavamo per ore la volta celeste.
Importava qualcosa di noi alle stelle lassù? Il fuoco che ardeva in loro era per noi inimmaginabile: quei piccoli soli dal basso della terra sembravano soltanto dei puntini di ghiaccio. Da qualche parte nello spazio siderale era nascosto il nostro destino? O invece era scritto solo nel nostro cuore? Come sarebbe stata la nostra vita adulta? Avremmo fatto un lavoro che ci piaceva? E avremmo trovato prima o poi il grande amore? E i figli? Quel cielo che, da parte a parte, colmava l’orizzonte era la nostra sfera di cristallo.
Nell'adolescenza la grazia delle domande bussa per l’ultima volta spontaneamente alla porta. In un’epoca di rare distrazioni come quella in cui sono cresciuta, bussava quasi con irruenza.
Ora invece deve sgomitare nel frastuono per riuscire a farsi aprire se non una porta, almeno uno spiraglio.
Ma sicuramente bussa e continua a bussare e, ai ragazzi che osano porsi in ascolto, offre da subito un dono straordinario - la luce che a un tratto irrompe nello sguardo».
Susanna Tamaro, in Avvenire del 21 novembre 2014