Di Paolo Giussani, tratto da sinistrainrete.info
Osservazioni sulla presentazione di Guglielmo Carchedi e Michael Roberts alla decima conferenza di HM. [versione finale]
Nella presentazione di Guglielmo Carchedi e Michael Roberts alla decima conferenza della rivista Historical Materialism (Londra, 7-10 Novembre 2013), intitolata The Long Roots of the Present Crisis1, viene esposta quella che Roberts chiama la spiegazione monocausale della Great Recession in quanto generata dalla diminuzione del saggio e della massa dei profitti, in opposizione alle teorie postkeynesiane centrate sul sottoconsumo, la financialisation o su una combinazione di entrambe.
Il sostegno fondamentale alla tesi di Carchedi e Roberts si trova nel seguente grafico, qui riprodotto dalla pagina 7 della loro presentazione:
Grafico 1. [Vedi p. 7 di The Long Roots of the Present Crisis] US Corporate Profits, Real Investment and GDP. Q1-2011 to Q2-2012,
Dall’andamento della massa dei profitti e degli investimenti si osserva bene che il movimento dei profitti anticipa quello degli investimenti e del Pil. Il calo degli investimenti naturalmente innesca poi il processo di crisi, anche se la catena di eventuali anelli intermedi non viene spiegata.
2. Saggio del profitto e saggio di accumulazione
Messa così la faccenda è però troppo semplice. Il fatto è che l’intervallo di tempo selezionato nel grafico di Carchedi e Roberts è eccessivamente breve per trarne conclusioni generali. Vediamo invece il grafico seguente, che esibisce il movimento della massa nominale dei profitti netti (linea scura tratteggiata) e degli investimenti non residenziali delle corporations non finanziarie americane dal 1947 al 2012 (linea grigia continua): le corporations non finanziarie sono ovviamente la sezione dinamica dell’economia, quella responsabile per il processo di accumulazione, e con esse i loro profitti e investimenti. E quando si ha a che fare con l’accumulazione il riferimento è sempre dato dai profitti netti (al netto di interessi e tasse) perché è su questi che i capitalisti commisurano le proprie azioni ovvero sono questi i profitti che possono influenzare direttamente l’accumulazione.
Grafico 2. US. After-Tax Profits and Net Non residential Fixed Investments of Non Financial Corporations. 1947-2012
Osservate in una prospettiva lunga le cose appaiono un po’ diverse. A somiglianza del grafico di Carchedi e Roberts, anche qui, dove si hanno dati annuali e non trimestrali, il movimento dei profitti in generale anticipa quello degli investimenti. La cosa più importante tuttavia è che a partire dalla seconda metà degli anni 90 i due trend prendono a divergere. La massa dei profitti continua a salire mentre la massa degli investimenti rimane stabile (e a calare in termini reali). La faccenda appare meglio dal movimento della quota degli investimenti (investimenti /profitti netti – linea tratteggiata, scala destra) che tende ad accrescersi fino alla seconda parte degli anni ’80 per calare successivamente (il picco è nel 1986), e molto rapidamente dopo il 2001, quando si ha la maggiore singola diminuzione di questo rapporto (dal 2001 al 2005) associata a una recessione relativamente tenue.
Tabella 1. Diminuzione Investimenti Netti Non Residenziali e Profitti Netti (NonFin Corporations)
Dal massimo locale del 2006 al minimo locale del 2009 la massa dei profitti è calata del 34% e gli investimenti di circa il 62% circa, ma questo è in parte causa (prima del 2007) e in parte effetto (dopo il 2007) della crisi. Se si attribuisce la causa al movimento della massa dei profitti si deve affermare che a scatenare il crollo del sistema finanziario e creditizio mondiale seguito dalla più grave recessione dopo la depressione degli anni ‘30 sia stato un calo di poco più dell’8% dei profitti – dal massimo locale dei profitti del 2006 al massimo locale degli investimenti dell’anno dopo. Ma questo tasso di diminuzione non è il maggiore dei vari cicli profitti/investimenti del dopoguerra. Nei tre precedenti cicli (vedi Tabella 1) il calo era stato superiore all’ultimo senza che nessun crollo generale di banche e finanza (in effetti, era solo rinviato di un poco) e la paralisi quasi assoluta del commercio internazionale ne conseguissero. C’è da chiedersi dunque come mai un calo dei profitti, serio ma non certo fuori dalla norma, abbia potuto causare un disastro globale che è unico nel dopoguerra né è ancora in grado di mostrare apparenti vie di uscita. Calo che, oltretutto, viene dopo un periodo di aumento record del saggio netto del profitto delle corporation non finanziarie (circa il 300% dal 2001 al 2006), che è valso a mantenere questo saggio del profitto a livelli assai superiori a quelli minimi (e anche a quelli medi) del precedente ciclo anche durante la Great Recession, almeno fino ad oggi; al punto che il minimo (2009) del saggio netto del profitto nella Great Recession è solo di poco inferiore al massimo del precedente ciclo toccato nel 1997.
Grafico 3. US. Non Financial Corporations. Net Rate of Profit. 1947-2012
In queste condizioni sembra molto difficile pensare che una diminuzione durata soli tre anni del saggio e della massa dei profitti netti sia stata così potente da provocare di per sé una catastrofe senza precedenti come quella che il capitalismo ha passato e sta ancora passando.
3. Dal 1982 a oggi
Per meglio illustrare il proprio punto di vista Carchedi e Roberts offrono il seguente andamento del saggio generale (che essi chiamano average) del profitto (vedi p.3 di The Long Roots of the Present Crisis):
Grafico 4. [Vedi p. 3 di The Long Roots of the Present Crisis] US Average Rate of Profit. 1982-2011 (%)
Tuttavia, questo saggio del profitto di Carchedi e Roberts non va bene perché non è il saggio del profitto netto ma quello generale. Il saggio del profitto netto delle corporations non finanziarie nello stesso periodo, 1982-2012, è il seguente:
Grafico 5. US. Net Profit Rate and Net Rate of Accumulation of NonFinancial Corporations. 1982-2012. (1982=100.)
Come si vede fra le altre cose, l’incremento del saggio del profitto dal 2001 al 2006 è decisamente superiore a quello dell’ARP di Carchedi e Roberts, anzi è il maggiore di tutto il dopoguerra – quasi tre volte. Né si può ragionevolmente sostenere, esaminando il Grafico 5, che questo arco di anni (1982-2012) contenga più di un trend di lungo periodo ovvero che la diminuzione del saggio del profitto dal 2006 al 2009 rovesci in qualche modo il trend preesistente. Del resto già il fatto che qui si scelga come punto di partenza il 1982, l’anno del minimo del saggio del profitto nel dopoguerra posto a distanza di trent’anni da noialtri, è sufficiente a indicare che da allora non c’è stata nessuna ulteriore diminuzione tendenziale.
La successione di recessioni degli anni ’70 e principio ‘80, che chiusero il boom del dopoguerra, fu chiaramente l’esito del lungo trend discendente del saggio generale e netto del profitto dalla fine della guerra2. È assolutamente evidente che non si può minimamente sostenere la stessa cosa per la Great Recession che si trova all’esito di un periodo relativamente lungo di trend ascendente del saggio del profitto. Per connettere comunque in maniera più diretta possibile la grossa crisi presente alla diminuzione tndenziale del saggio del profitto, alcuni si premurano ansiosamente di puntualizzare che comunque dopo il 1982 “the rate of profit has not fully recovered”.
Francamente, non si riesce a capire: forse che ora la teoria della diminuzione tendenziale del saggio del profitto è diventata quella del “tendential not full recover of the profit rate”? Esiste forse un livello magico del saggio del profitto che va recovered affinchè anche il saggio di accumulazione riprenda un aumento tendenziale?
4. Breve e lungo periodo
É problematico collegare alla teoria di Marx una diminuzione del tipo di quella descritta da Carchedi e Roberts. Nella teoria di Marx il saggio del profitto diminuisce, a causa del progresso delle forze produttive, gradualmente e tendenzialmente3 con il procedere dell’accumulazione. La diminuzione della massa dei profitti sopravviene solo a un certo punto e conduce, più o meno direttamente, all’arresto della formazione di capitale. In un quadro a questo livello di astrazione non esistono (ancora) né la finanza né il credito, che svolgono un ruolo supplementare che va a complicare, e molto, la dinamica essenziale della faccenda. É impossibile limitarsi a un breve ciclo per trarne conclusioni generali4.
Nel caso delle relazioni profitti/investimenti e saggio del profitto/saggio di accumulazione il breve e il lungo periodo si confondono a vicenda, e il breve periodo tende a oscurare l’andamento di lungo periodo. Nel breve periodo, ovvero nei brevi cicli profitti/investimenti gli investimenti sono determinati dai profitti; nel lungo periodo, ovvero nei cicli più lunghi saggio del profitto/saggio di accumulazione i due si muovono fondamentalmente in direzioni opposte.
Grafico 6. US. Trend non lineari del Saggio Netto del Profitto, del Saggio Netti di Accumulazione e della Quota di Investimenti 2012
Se svolgiamo l’esercizio – che sia qualcosa di alquanto eterodosso non ha proprio nessuna importanza – di mettere in relazione in un diagramma i valori dei due trend non lineari del saggio del profitto e del saggio di accumulazione otteniamo la figura che segue:
Grafico 7. US. Diagramma di Dispersione dei Trend HP di Net Profit Rate and Net Rate of Accumulation (Non Fin. Corps.), 1948-2012.
La forma del movimento tende verso quella di un’ellisse posta obliquamente con un angolo negativo rispetto ai due assi: la diminuzione dei valori di una variabile corrisponde quindi all’aumento dei valori dell’altra. La forma non è perfetta perché in realtà il saggio del profitto e il saggio di accumulazione si sono trovati abbastanza ben correlati durante tutto il boom postbellico e fino a un certo punto dell’inizio degli anni ’80, dopo il quale il nesso si è frantumato. Guarda caso, è approssimativamente lo stesso punto di cambiamento dal quale si iniziano il boom nell’impiego speculativo di capitale monetario – che dura tuttora malgré lui –, il calo di lungo periodo dei tassi di interesse e l’accumulazione world history record dell’indebitamento generale rispetto allo stock di capitale e al reddito netto.
Se invece facciamo l’operazione contraria, vale a dire eliminiamo il trend non lineare dalle serie del saggio netto del profitto e del saggio netto di accumulazione e mettiamo in relazione quello che resta delle due variabili – in teoria l’andamento ciclico breve – ponendo in un diagramma il saggio di accumulazione in un ritardo di due periodi rispetto al saggio del profitto otteniamo una correlazione positiva non disprezzabile:
Grafico 8. US. Diagramma di Dispersione di Net Profit Rate detrended and Net Rate of Accumulation detrended (Non Fin. Corps.), 1948-2012.
È del resto impossibile immaginare che nella teoria di Marx le tendenze del saggio del profitto e del saggio di accumulazione siano in generale correlate positivamente. Se partiamo dal punto massimo della crisi, allorché una certa parte dei capitali falliti è stata assorbita a costo quasi nullo dai capitali sopravvissuti, il saggio del profitto si troverà al suo massimo, proprio a causa della vasta svalorizzazione del capitale fisso in funzione. Si può supporre che sia questo il punto in cui il processo di accumulazione riprende riportando verso l’alto il saggio di accumulazione, e verso il basso il saggio del profitto. Il processo continua in questa forma fino a un punto critico, che Marx chiama di sovraccumulazione, quando anche il volume assoluto dei profitti comincia a ridursi. L’accumulazione tende a fermarsi e sopravviene una crisi, che, dopo un ulteriore violento calo, innalza il saggio del profitto e abbassa il saggio di accumulazione a un minimo:
Grafico 9. Diagramma movimenti stilizzati Saggio del Profitto, Saggio di Accumulazione e Massa dei Profitti.
É impossibile concepire la teoria della caduta tendenziale del saggio del profitto e della conseguente crisi da sovraccumulazione come qualcosa che riguardi il breve periodo, anche se certamente influenza i cicli brevi e si può dire molto sui cicli brevi attraverso la relazione fra massa dei profitti e massa degli investimenti. Se il saggio del profitto tende a diminuire a causa del progresso tecnico insito nel processo di accumulazione, questo può essere solo un movimento graduale con effetti finali di vasta portata e non semplicemente congiunturali.
5. Conclusione
Le spiegazioni si possono trovare solo analizzando le crisi in maniera specifica – questa crisi e ciascuna crisi – e non limitandosi a vedere se corrispondono genericamente a quello che dice Marx, in opposizione a quello che vendono gli altri, postkeynesiani etc. Ma è ovvio, o dovrebbe esserlo, che “crisi” non è un sostantivo esoterico ma solo un momento peculiare nell’autoriproduzione del capitale che va studiata nel suo insieme. Ad es. finora nessuna crisi è stata accompagnata dal collasso generale del sistema di pagamenti, come è avvenuto nel 2008, e questo può essere solo il risultato di uno sviluppo precedente differente da quelli precedenti ancora, e così via. La canzone è certo lunga assai, ma andrebbe cantata tutta. Dico questo perché più spesso che no si ha l’impressione che tutto quanto il cosiddetto dibattito, fra varie tendenze marxiste, postkeynesiane, etc., sia fasullo, nel senso che, più che a cercare di capire ed enucleare come vanno le cose, ciascuno tenda a vendere su un certo mercato una propria identità, un proprio logo, raccattando e mettendo assieme i pezzi che qui e là gli sembrano più utili allo scopo5.
Se c’è qualcuno in giro che pensa che il capitalismo proceda sempre allo stesso modo, girando in continuazione per incontrare in altrettanta continuazione delle crisi, che poi in continuazione risolve per ricominciare da capo, potrebbe essere contento di sapere di aderire a una delle tante forme di pensiero metafisico che escludono il movimento. Accumulare, fare scendere il saggio del profitto, sovraccumulare, erompere in una crisi che serve a eliminare il capitale di troppo per riportare in cima il saggio del profitto e ricominciare il movimento, in definitiva sempre uguale a se stesso, non è tanto diverso dall’escludere qualsiasi movimento. Le crisi sono certo ineliminabili, ma in questa visione lo sono tanto quanto il loro perpetuo superamento. I movimenti puramente ciclici senza altre trasformazioni non esistono da nessun parte nell’universo, e in sé non sono movimenti ma l’assenza di qualsiasi cambiamento mascherata da cambiamento.
Note sulle statistiche usate
1. Il Grafico 1 si trova a p.7 dell’esposizione The Long Roots of the Present Crisis di Guglielmo Carchedi e Michael Roberts (cfr. nota 1).
2. Nel Grafico 2 i profitti netti nominali dlle corporation non finanziarie provengono dai NIPA di BEA, Table 1.14. Gli investimenti netti in capitale fisso non residenziale delle corporation non finanziarie sono calcolati sottraendo lo stock netto di capitale fisso di un certo anno a costi storici da quello dell’anno successivo e confrontando il risultato con gli investimenti netti che si ottengono sottraendo dagli investimenti lordi i deprezzamenti misurati in costi storici. I dati provengono dalle Fixed Assets Tables di BEA, Table 4.3, Table 4.6 e Table 4.7. La quota degli investimenti è semplicemente la serie degli investimenti netti divisa per quella dei profitti netti. I trend sono i filtri Hodrick-Prescott con lambda= 8.
3. Nella Tabella 1 i dati usati sono gli stessi del Grafico 2.
4. Il saggio netto del profitto delle corporation non finanziarie del Grafico 3 al denominatore ha lo stesso stock di capitale fisso utilizzato per calcolare gli investimenti netti nel Grafico 2, e al numeratori i profitti nominali del Grafico 2.
5. Il Grafico 4 è preso dalla p.3 di The Long Roots of the Present Crisis di Carchedi e Roberts.
6. Nei Grafici 5, 6 e 7 il saggio del profitto è lo stesso del Grafico 3, mentre il saggio di accumulazione è semplicemente il saggio di variazione dello stock di capitale fisso non residenziale usato per il Grafico 2. I trend dei Grafici 6 e 7, usati anche per eliminare i trend dalle serie del saggio del profitto e di accumulazione e ottenere i valori del Grafico 8, sono i filtri Hodrick-Prescott con l = 100.
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