Colui che oggi si fa chiamare Brown Moses fino a un anno fa era Eliot Higgins, un impiegato inglese di trent’anni. Sbrigava pratiche amministrative in un’azienda di Leicester, nel Regno Unito, dove vive. Oggi è diventato una delle voci più autorevoli sull’uso di armi nella guerra in Siria, un conflitto che in due anni ha causato più di 80.000 vittime: le sue analisi sono state citate, tra gli altri, da Bbc, Financial Times e dalla Cnn.
Lo scorso ottobre ha perso il lavoro, ma per diventare ciò che è oggi non è partito per Damasco, né ha letto tomi specialistici in arabo: si è solo messo a guardare video su Youtube. Ogni giorno passa in rassegna poco meno di 500 canali appartenenti a organizzazioni paramilitari, jihadisti, ribelli e forze legate al regime per scovare chi usa quali armi e perché.
Il suo avatar – un dipinto di Francis Bacon – è diventato familiare a tutti gli appassionati delle vicende mediorientali e la sua influenza è cresciuta con alcuni scoop: lo scorso febbraio è riuscito a individuare armi di fabbricazione croata, scoperchiando il vaso di Pandora di un piano internazionale di riarmo dei ribelli. L’estate precedente aveva scoperto l’uso massiccio di bombe a grappolo – un tipo di arma bandita da un trattato internazionale del 2008 – da parte del regime di Assad, che fino ad allora aveva sempre negato il loro utilizzo.
Ho fatto qualche domanda a Eliot per chiedergli com’è diventato Brown Moses – e, magari, capire come si diventa un cronista di guerra senza abbandonare la comodità del proprio salotto nell’East Midlands.
La prima domanda deve per forza essere una che probabilmente ti fanno spesso – e anche una che si sposa perfettamente con la tua storia, tra le altre cose: come hai iniziato a scrivere di armi e perché?
Mi sono imbattuto in tutto questo quasi accidentalmente, anche il nome del blog è stato scelto abbastanza a caso. Ho sempre avuto interesse per l’attualità, e la discuto online da quando ho memoria, quindi ho trovato gli eventi della Primavera araba molto affascinanti.
Ciò che risaltava davvero era il modo in cui così tante informazioni riuscivano ad essere raccolte dai social media; e riuscire a dargli un senso è una sfida, quando ci sono così tante fonti inaffidabili. Un’altra cosa che mi ha colpito è come potevi vedere un tweet o un video e capire il suo contesto soltanto a settimane o mesi di distanza, in un periodo di tempo in cui si era perso nell’etere di Internet.
Quando ho aperto il blog uno dei miei obiettivi era creare un registro di cose di questo tipo, una sorta di archivio dei social media, ma anche assicurarmi che ciò di cui stavo scrivendo era accurato e non coperto da nessun’altra parte. È molto più difficile camuffare le prove di bombe inesplose rispetto a falsare altre cose, perciò è stato molto più semplice per me scrivere di munizioni. E le armi in un conflitto saltano fuori spesso.
Hai iniziato a bloggare dal tuo sofà, senza alcuna esperienza nel campo. In un’intervista col Guardian hai dichiarato: «Prima della Primavera araba non sapevo di armi niente più del possessore medio di Xbox». Com’è stato per te diventare un esperto influente, citato dai maggiori media mondiali?
E’ allo stesso tempo lusinghiero e bizzarro. Quando ho iniziato ero in cerca di un passatempo, che ora è diventato un’avventura. Quando dici che sono un esperto non sono nemmeno sicuro di cosa sia esperto, perché non mi considererei né un esperto di armi, né un esperto di Siria. Se c’è qualcosa in cui lo sono è estrarre informazioni interessanti dal vortice di dati provenienti dalla Siria sui social media.
Quando hai realizzato che il tuo lavoro era diventato una fonte importante per i media mainstream (ad esempio il Guardian o il New York Times)? È stata una sorpresa?;
Non sono sicuro che sia stata una sorpresa perché ho sempre saputo che c’era molto materiale che veniva ignorato dai media mainstream, e una cosa che ho sempre voluto fare col mio blog era informare I giornalisti di cose che potevano essergli sfuggite, nella speranza che le avrebbero approfondite ulteriormente, producendo reportage capaci di influenzare la mia comprensione del conflitto.
Probabilmente la prima volta che ho realizzato che il mio lavoro aveva avuto un impatto significato è stata coi primi report dell’uso di bombe a grappolo in Siria, di cui sono stato la prima persona a scrivere, e che in seguito sono stati ripresi anche da Human Rights Watch.
Una delle tue principali conquiste è stata la scoperta di quei razzi croati al confine tra Siria e Giordania. Mi piacerebbe sentire la tua opinione sulla ragione per cui il cosiddetto “giornalismo mainstream” non è arrivato per primo sulla storia. Cj Chivers (un importante cronista di guerra americano, NDa) ha scritto sul New York Times che «Brown Moses, in breve, ha agito da one-man news service»
Il mio vantaggio è questo: diversamente dai giornalisti mainstream che devono concentrarsi su varie aree, io posso stare seduto e guardarmi tutti i canali Youtube siriani ogni giorno, e ciò mi ha portato ad avere le idee chiare su ciò che c’è di inusuale nei video. Quando le armi croate hanno iniziato ad apparire mi sono subito saltate agli occhi, e – essendo in grado di vedere video provenienti da tutta la Siria – ho potuto dire che in breve tempo erano apparse in tutto il paese. Questo è qualcosa che i giornalisti sul campo in Siria non possono fare: vedono il conflitto quasi esclusivamente dalla loro prospettiva, mentre io lo vedo dalla prospettiva di centinaia di persone.
Ciò che ha dimostrato l’articolo del New York Times è come il tipo di lavoro che sto facendo possa essere usato parallelamente al giornalismo per scoprire una grande storia, perché qualunque cosa mostrino i miei video ha comunque bisogno di giornalisti “old school” per essere sviluppata.
Hai raccolto una community fedele attorno al tuo blog e al tuo lavoro. Tra le altre cose, una volta ti ha aiutato a stabilire che una presunta bomba a grappolo cinese era in realtà una pompa da bicicletta. Hai recentemente raggiunto il tuo obiettivo di raccogliere 6,000 sterline in donazioni per il tuo blog. Pensi che il modello del crowdfunding possa fare la differenza nell’industria dei media di oggi?
Penso di essere fortunato nel senso che riempio una nicchia di un conflitto complesso che attira l’interesse di molte persone, e non è qualcosa che chiunque potrebbe iniziare a fare così facilmente. Potremmo dire che fa differenza nell’industria mediatica odierna nel mio caso specifico, ma credo di costituire un esempio molto specifico. Personalmente non consiglierei a nessun’altro di aprire un crowdfunding a meno di non essere sicuro che funzionerà, perché è molto preoccupante pensarlo come la tua principale fonte di reddito.
Hai detto del tuo lavoro: «Devi essere il primo e non devi sbagliare», che oggigiorno potrebbe essere un motto del giornalismo. Ma come fai ad essere così spesso sia il primo che quello che ha ragione? Voglio dire: il controllo incrociato delle fonti, passare in rassegna footage video e organizzare i feedback della tua community devono essere compiti che rubano un sacco di tempo.
Ormai ho un network di follower che mi mandano ogni video che ritengono possa interessarmi appena esce, perciò parto avvantaggiato e posso verificare il footage, passarlo a esperti di rilievo che conosco, ottenere le traduzioni e analizzare i contenuti.
Ho anche un certo occhio per cose che altrimenti verrebbero tralasciate. Ad esempio, il mio recente lavoro sulle armi chimiche in Siria dove sono riuscito a identificare “congegni” ritrovati sulle scene di due attacchi come granate a gas, che sono state la chiave di comprensione della natura degli attacchi. Ho notato la cosa solo perché sono riuscito a collegare fra loro immagini che avevo visto un paio di settimane prima.
Già, «Devi essere il primo e non devi sbagliare» è una sfida che mi sono posto. D’altronde, chi vuol arrivare secondo e prendere un abbaglio?
(scritto per Studio)
La foto è di Khalil Ashawi-
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