“Ho dato ordine alle forze armate di mettere a punto misure che portino, se necessario, alla distruzione dei sistemi radar e degli intercettori.” Così il Presidente russo Dimitri Medvedev ha reagito all’accelerazione impressa dagli Usa al proprio programma militare, indirizzato ad installare uno scudo spaziale alle porte dell’ex gigante Sovietico, tra Polonia e Romania. Inizia la pace fredda, ha commentato Rogozin, ambasciatore russo alla Nato. Il vecchio ed acciaccato Orso russo non è più reattivo come un tempo, tuttavia non si fa intimorire e dimostra di saper ancora mordere quando il pericolo lo minaccia da vicino. I suoi riflessi sono lenti (in Libia, Egitto, Tunisia ecc. ecc. non è mai stato avvistato) ed il passo è incerto (in Siria, in Iran ed in tutto il medio oriente si scorgono solo poche tracce) eppure non c’è bestia, anche la più malconcia, che possa retrocedere senza difendersi se attaccata nella sua tana. La casa Bianca, sorda come un serpente, fa comunque sapere che, al di là degli umori del Cremlino, non ha intenzione di ripiegare poiché, a sua volta, si sente sfidata da alcuni Stati canaglia, “casualmente” collocati sulla stessa linea di tiro di Mosca. Queste schermaglie annunciano un duro e lungo conflitto tra animali feroci e velenosi i quali, prima di affrontarsi corpo a corpo, compiono lunghe danze di guerra aspettando la mossa dell’altro, lo scatto in avanti o lo scivolamento all’indietro del nemico. Ripetute mosse tattiche e continui ridisegnamenti dei profili strategici segnalano che la Storia è ancora in marcia. Si dosano le forze, si misura la capacità del contendente di tenere testa agli assalti di varia natura e si attende il momento propizio per lo scontro frontale. Ma non è detto che questi rituali portino immediatamente alla battaglia finale, al duello all’ultimo sangue. Anzi, quest’ultimo è raro benché aleggiante sulle reciproche provocazioni, cionondimeno arriva sempre l’istante in cui bisogna sfoggiare concretamente la forza, prima su obiettivi secondari e poi sul bersaglio grosso, per tentare di prendere il sopravvento o respingere, con le unghie e con i denti, i colpi altrui. Questa lotta, inoltre, non è mai solitaria. Branchi minori si radunano da una parte e dell’altra degli schieramenti per dimostrare fedeltà ai combattenti, al fine di ricavarsi spazi di seconda importanza, cercare piccole compensazioni o almeno non subire troppe vessazioni allorché una delle belve avrà la meglio. Tali sono i riti della geo-politica che è la proiezione nella sfera mondiale del conflitto strategico interdominanti attraversante le società umane e modellante i suoi rapporti di forza. Alla luce di queste delucidazioni si comprende perché, come afferma giustamente oggi il Generale Carlo Jean su Il tempo, la democrazia è una sovrastruttura che copre interessi politici, economici e militari il cui obiettivo non è portare civiltà e libertà laddove esse difettano o sono assenti, ma imporre quella “stabilità” che permette alla potenza egemonica di restare tale o non essere scalzata da altra potenza emergente e antagonista. Ovviamente, qualcuno perde in questo gioco ma quelli che ci rimettono di più sono sempre i vili e gli indecisi, i ratti ed i conigli che cercano di scappare anche quando sono all’angolo. Un grande Paese che perde la sfida può ancora risorgere, come attesta l’esempio Russo. Chi invece sa soltanto sottrarsi alla disputa, sperando di salire all’occorrenza sul carro dei vincitori, essendo costantemente pronto a riverire un padrone, non ha alcuna speranza di incidere il proprio nome nella Storia dell’umanità. Per i popoli servili non c’è corso degli eventi, a loro toccano esclusivamente i tempi immobili della sottomissione e gli orizzonti sconfinati delle rovine di ogni epoca.