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La guerra dell’uva

Creato il 30 novembre 2010 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

La settimana scorsa ad un simpatico convivio tra produttori, esperti e amatori del mondo del Food, anzi dello “Slow Food”, ho conosciuto Pino De Luca, giornalista locale, ex informatico e soprattutto critico e divulgatore della buona cucina e non solo. Dal suo blog (http://www.pinodeluca.ilcannocchiale.it) ospito una storia che ho scoperto quella sera da una sua narrazione. C’è stata in Puglia, giusto qualche decennio fa, una “guerra dell’uva”. Episodio nato dalla perequazione dei prezzi dei prodotti della terra dovuto ad un sistema para-feudale, ancora in essere negli anni ‘60. Mezzo secolo fa, i corsi storici sono ancora attuali, non ci sono più i feudatari, ci sono però gli speculatori, che sono ancora più squali. Vi lascio al racconto di Pino De Luca.

Domani è Santa Caterina d’Alessandria, Protettrice dei filosofi, degli studenti e di Cellino San Marco che la onora con la “Fiera dei Cappotti”. È riecheggiata, in una piacevole conversazione con il Prof. Bergamini, la “guerra del vino”.

Episodio tanto relegato nell’antro dell’oblio quanto fondamentale per comprendere qualche poderoso segmento della Storia del Paese. La vicenda, ripresa in un bel libro di Alfredo Polito e Valentina Pennetta per Manni Editore, è stata richiamata allorché il prof. Bergamini illustrava la necessità di dover tornare alla coltivazione agricola secondo canoni spesso dimenticati. Gli agricoltori presenti, ovviamente, hanno dovuto manifestare l’impossibilità di perseguire certi obiettivi se non a carico della follia di alcuni “masochisti” che continuano e massacrarsi di fatica per portare a casa dei sempre più rari benefici.

Che cosa è accaduto al settore primario, all’Italia, al mondo? Perché situazioni analoghe in alcuni periodi son foriere di tumulto e in altri, anche in forma più cancrenosa, sono solo foriere di mugugni? Il fatto è questo: intorno alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, un quintale di uva fu proposto all’asta al contadino a 2500 Lire. Una giornata di “cofanatore” (addetto al trasporto dell’uva dal campo al mezzo di trasporto) costava 500 lire. Ovvero un quintale di uva pagava cinque cofanatori. Queste condizioni portarono a tumulti violenti con morti e feriti.

Oggi un quintale di uva viene pagato massimo 20 Euro, una giornata di “cofanatore” o equivalente costa 40 Euro, ovvero per pagare un operaio ci vuole dieci volte l’uva che ci voleva cinquanta anni or sono. Eppure non succede nulla.

Il fatto è che allora l’INTERA economia di una società si basava sulla vendemmia. Poi tutto è cambiato, il contadino è diventato residuale, il bracciante è un immigrato supersfruttato e, chi pensava di far la rivoluzione raccontando “è ora, è ora, la terra a chi lavora” non prova più nemmeno la sensazione della sconfitta. Ora la terra la comprano speculatori e camorristi, per coltivarla a pannelli o per seppellirci l’immondizia (forse quei pannelli quando diventeranno obsoleti) e chi la lavora che fa? Mugugna e s’indigna, s’impegna e qualche volta s’incagna.

Ma basta un sussidio, una cancellazione di una multa, poter “fottere” i contributi al senegalese che li paga ma non potrà mai riscuotere la pensione, e tutto ritorna come prima. Capiterà ancora che perderemo probabilmente, ma sarà ancora una sensazione diversa da quella della sconfitta. Solo la sensazione d’essere, di nuovo, stati semplicemente venduti.

Leggendo la “Guerra del Vino”, si capiscono molte cose, forse non si riuscirà a non perdere di nuovo, ma forse ci venderanno ad un prezzo maggiore. Come? Che c’entra Santa Caterina? La Fiera si faceva in questa data proprio perché c’erano i soldi della vendemmia. Adesso molti riescono a spendere solo trenta denari.


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