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La guerra di Monti

Creato il 13 luglio 2012 da Trame In Divenire @trameindivenire

La guerra di Monti

 Siamo in guerra e non ce ne siamo accorti.

E’ «un percorso di guerra durissimo che non è ancora finito». Lo ha detto Mario Monti all’assemblea annuale dell’ABI (associazione bancaria italiana). Parla a suocera affinché nuora intenda. L’ABI è la suocera, gli italiani sono la nuora. Quello che si sta combattendo sono «i diffusi pregiudizi, contro le eredità del debito pubblico, contro le sottovalutazioni da parte di noi stessi, contro gli effetti delle decisioni prese in passato e i vizi strutturali della nostra economia». E’ chiaro che le sue parole, almeno in questo caso, andrebbero rivolte alla politica e di converso a chi i politici gli elegge. Per quanto nel nostro parlamento eletti non ce ne sono. Eletto non lo è nemmeno il governo. Non ce n’eravamo accorti.

A svegliarci dal torpore è il primo ministro emissario del “sistema” che ha provocato la più nera recessione globale dopo quella del 1929. Salvo che non avvenga il sorpasso, cosa non proprio da escludere. Da scongiurare si.

Dunque tocca abituarci alla guerra. Tocca entrare nel clima opportuno. E quale miglior ambientazione se non quella dell’austerità. In tempo di guerra si stringe la cinta, i pantaloni hanno le toppe, gli abiti consunti, la spesa si riduce all’osso, una volta al mese si fa il ragù rigorosamente con la sugna. Si torna a camminare a piedi. Il percorso di vita è molto più faticoso e duro. I diritti civili sembrano sospesi, proprio come in guerra e vige una sorta di legge marziale economico finanziaria sovrintesa dalla BCE.

Il Monti pensiero sembra uscito fuori da una vera e propria dottrina, con tanto di disciplina. Quella del rigore. Ma un rigore applicato a metà. Perché l’altra metà, ABI, BCE e l’intero mondo della finanza sono i sacerdoti, le guide, i Virgilio che s’incontrano lungo il percorso e che ci guidano a spintoni verso una recessione che non è solo economica, ma prima di tutto sociale e quindi culturale. Sommo sacerdote italiano è Mario Monti, il primo ministro calato dall’altro, dalle somme vette del “sistema”.

Questo lo avevamo capito da tempo. Ancora prima della sua ascesa al governo. Una seduta sul trono del popolo sovrano, il quale la sovranità non la esercita più da tempo. Ancora prima dei tempi del “porcellum”. Sin da quando entrando a far parte dell’euro, l’Italia ha ceduto, a scatola chiusa, la sua sovranità, prima monetaria, poi politica. A compensazione di questa cessione nulla. A decidere non è nemmeno il parlamento europeo, ma solo ed esclusivamente la BCE e i suoi devoti sommi sacerdoti. Secondo costoro, come se non bastassero le misure prese a suon di propaganda, e dove la crescita è mera retorica, paesi come l’Italia, “dovranno mirare anche a incoraggiare la flessibilità dei mercati del lavoro e la moderazione salariale, in modo da agevolare la riallocazione settoriale dei lavoratori in esubero, favorire la creazione dei posti di lavoro e ridurre così la disoccupazione”.

E dunque all’Italia non resta che la guerra. Certo, non una guerra a suon di mortai. Intanto ci sono le “manovre”  e sono pure repentine, lacrime e sangue per le truppe di cittadini sudditi disarmati, pronti ad essere sacrificati sull’altare del più grande ricatto globale: quello sul lavoro. Ed è una guerra con tanto di vittime per lo più innocenti. Pensionati, lavoratori, artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, disoccupati, precari, trattati peggio che sudditi della peggiore delle dittature. E in questa guerra il suicidio è la modalità più sicura, senza colpevoli identificabili. E’ meglio dell’azione di un cecchino. Una dittatura sottile, apparentemente indolore, sopraffina, intrisa della sua retorica economica, grondante di parole d’ordine. Rigore, spread, tagli, debito, crisi, recessione, tassi, crescita e tutto il lessico della retorica mercantile. Una guerra sottile ma pur sempre violenta, che semina morte e distruzione.

 giuseppe vinci


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