Una vittoria a metà quella di Alexis Tsipras, anzi, forse qualcosa di meno. La bozza di riforme presentata alla Commissione europea il 24 di febbraio ottiene certamente due cose.
Cosa ottiene Tsipras. Innanzitutto, il prestito ponte di quattro mesi fondamentale per mandare avanti uno Stato con le casse vuote, un obiettivo che andava centrato a tutti i costi. La valutazione positiva della verifica del programma - che scade il 28 febbraio - porterà alla concessione della tranche finale da 7 miliardi di euro. Una seconda nota positiva per Tsipras è l’aver messo la Grecia nella condizione di poter trattare scrivendo gli accordi in prima persona, in parte recuperando la propria dignità nazionale e abbandonando il ruolo passivo avuto nel recente passato. Per il resto francamente non sembra esserci gran che di cui rallegrarsi.
La Troika è viva e vegeta. Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis hanno sbattuto contro un muro: la Troika (Ue, Fmi, Bce) esiste eccome e la Grecia deve farci i conti. Chiamare istituzioni i vecchi creditori suona solo come il contentino da dare in pasto all’opinione pubblica.
La realtà vista dalla prospettiva delle “istituzioni” è molto diversa. Perché il documento con cui Atene si impegna a onorare i debiti e rispettare gli obiettivi di bilancio è valutato come “un buon punto di partenza” e nulla più. Un termine che contrariamente alle apparenze non nasconde nulla di buono. È la premessa a una revisione dei contenuti e al fatto che ci sarà molto da dire, ma soprattutto molto da fare.
Dalla teoria alla pratica sotto il controllo delle “istituzioni”. In attesa del voto sul documento da parte dei parlamenti nazionali (quello tedesco dovrebbe avvenire venerdì), la Ue raccomanda ad Atene di “sviluppare ulteriormente e ampliare l’elenco delle misure di riforma, in base alla disposizione attuale, in stretto coordinamento con le istituzioni al fine di consentire una conclusione rapida e positiva della revisione”. L’Eurogruppo ha fatto sapere che le istituzioni faranno un esame più approfondito del piano di riforme, «al più tardi entro la fine di aprile».
Ad aprile quindi si vedrà come le promesse saranno effettivamente messe in pratica, Tsipras dovrà mettere nero su bianco il modo in cui proseguirà la sua linea di governo e soprattutto restituirà i soldi. Adesso l’enunciazione di quel che si farà va benissimo - e secondo Draghi e Lagarde, numeri uno di Bce e Fmi, neanche troppo - ma il nodo cruciale della questione resta sempre il come. Le misure sono ottime linee generali, il problema restano i numeri e le stime delle coperture, al momento cifre non ce ne sono.
E se il terribile memorandum che, forse per delicatezza, non viene mai nominato rimane in piedi sotto tutti i profili, del programma elettorale resta ben poco, a parte il tentativo di aumentare il salario minimo all’interno di un bilanciamento tra flessibilità e equità nella contrattazione collettiva. Fermo restando che anche l’aumento del salario minimo richiederà una consultazione preventiva con le istituzioni europee.
Cosa resta del programma. E mentre Tsipras garantisce che “la lotta alla crisi umanitaria non avrà effetti negativi per il bilancio”, del programma fortemente sociale di Syriza non rimane granché. La spesa sanitaria verrà rivista, ma “l’accesso universale” resterà garantito. E, tra le misure per le fasce più deboli, compaiono i buoni pasto, energia e sanità per i poveri.
Riforme? Si ritoccherà l’Iva affinché non provochi un “impatto negativo sulla giustizia sociale”, mentre il fisco si farà più aggressivo con le lobby: l’intento è quello di mettere fine agli “sconti ingiustificati” a favore di coloro che finora l’hanno sempre passata liscia. Lotta senza tregua alla frode e all’evasione fiscale, assicurando in generale “che tutte le aree della società, specialmente le benestanti, contribuiscano equamente”. Contestualmente al taglio delle spese per ministri e parlamentari, i ministeri caleranno da 16 a 10 e si attuerà una spendig review che investirà “ogni area della spesa pubblica” aggredendo, ovunque sia possibile, quel 56% del totale delle spese dei ministeri che non va a pagare salari e pensioni.
La Grecia ha promesso di mantenere le “privatizzazioni già completate” e di portare a compimento, secondo i termini di legge, “quelle per cui è stato pubblicato il bando”, mentre “rivedrà quelle non ancora lanciate puntando a migliorare i benefici a lungo termine per il Governo”. Come accennato, a livello di numeri c’è poco o nulla, anche se nei giorni scorsi erano affiorati particolari. Si era parlato di una patrimoniale da 2 miliardi e mezzo per i ricchi lobbisti e gli armatori. A cui se ne aggiungerebbero altrettanti - per un totale di 5 miliardi - dal recupero di tasse arretrate non pagate da persone e imprese.
La lotta senza quartiere al contrabbando potrebbe portare poco meno di due miliardi e mezzo: 1,5 miliardi dal contrabbando della benzina e altri 800 milioni da quello delle sigarette. Altri due miliardi, forse 2,5, verrebbero recuperati sul fronte dell’evasione fiscale, attraverso l’adozione di nuove misure utili a rendere più funzionali i controlli.
Dubbi e incertezze. Al momento si tratta di cifre che, però, non possono essere contabilizzate ed appaiono assolutamente incerte. L’idea è che se ne rendano conto un po’ tutti e che presto si tornerà a discutere ancora delle riforme greche. Del resto, se la nostra economia, ad esempio, è 10 volte quella greca e con mezzi di controllo fiscale nettamente più stringenti noi riusciamo a tirare fuori 6-7 miliardi di euro, è lecito pensare che i greci, qualora fossero in possesso dei nostri stessi mezzi, potrebbero portare a casa settecento milioni all’incirca.
Gli oligarchi sul piede di guerra. Ma non solo, la patrimoniale ai miliardari e agli armatori greci, gli oligarchi in perenne conflitto d’interessi, che hanno sempre goduto di vantaggi e impunità pressoché totali non sarà semplice da attuare. In caso di tassazione gli armatori hanno già minacciato di piazzare le loro navi nei porti di altri paesi e di spostare le attività all’estero. Considerando che la disastrosa economia greca ha però il primato della flotta commerciale più grande del mondo, questa minaccia potrebbe porre dei grossissimi interrogativi.
Syriza a rischio spaccatura. Senza considerare che Tsipras avrà un problema in più. Dentro Syriza i malumori crescono, mentre l’ala più dura e meno propensa al compromesso parla senza mezzi termini di “tradimento”.
Dopo l’euro deputato Manolis Glenzos, l’eroe nazionale della resistenza contro il nazismo e il regime dei colonnelli, che ha chiesto scusa agli elettori per aver disatteso le promesse elettorali: “chiedo scusa ai greci per l’illusione di Syriza“, contro Tsipras ha tuonato anche il famoso compositore Mikis Theodorakis - autore anche delle musiche di Zorba il Greco - che ha criticato duramente la riproposizione del memorandum imposto dalla Troika, chiedendo di riprendersi davvero la sovranità nazionale “di cui non ho sentito fino ad ora a parlare”. Ma il forte malessere potrebbe addirittura sfociare nella spaccatura del partito.
Adesso chi vota le riforme? Il momento del Paese consiglierebbe un minimo in più di realismo politico e qualche attenuante per Tsipras e Varoufakis, i quali, oltre ai “rigoristi” nordeuropei, hanno avuto contro anche i governi dei Paesi in difficoltà che temono l’avanzata delle forze no euro. Tuttavia per i due giovani politici senza cravatta il problema si chiama ancora una volta riforme. Se è vero, infatti, che una parte di Syriza avrebbe promesso le barricate contro un “memorandum 2” e la richiesta della Troika di più riforme, chi voterà a favore degli impegni? L’esecutivo di Tsipras potrebbe essere costretto a un accordo con quella vecchia politica che ha gettato la Grecia nel tunnel. Costretto a votare i provvedimenti assieme ai partiti che hanno falsificato i bilanci e svenduto la dignità di un popolo. Per Tsipras potrebbe essere questa la vera sconfitta.
Fonte: Diritto di critica