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Due elementi importanti, tanto quanto l’incessante peso dei combattimenti sul campo, sono segnali evidenti di un peggioramento della situazione in Yemen e del profilarsi del passaggio da “situazione catastrofica” (il copyright della definizione è della portavoce della Croce Rossa internazionale) a catastrofe umanitaria. Primo, l’Iran ha schierato nelle acque tra Yemen e Gibuti, davanti alla città di Aden (seconda città più importante dello Yemen, nel sud del paese, centro dei combattimenti tra esercito regolare e ribelli Houthi) due navi da guerra ─ ufficialmente sono lì per proteggere le rotte mercantili, ma il messaggio di deterrenza nei confronti delle nazioni arabe coalizzate che stanno colpendo i ribelli amici dell’Iran è chiaro. Secondo, al Qaeda è praticamente entrata nel conflitto, ponendo una taglia sul leader dei ribelli e sul suo alleato sul campo, l’ex presidente Saleh: l’operazione ha chiaramente un potere simbolico, con i qaedisti dell’Aqap che si vanno a configurare come i difensori dei diritti dei sunniti yemeniti, contro i guerriglieri houthi sciiti (e contro l’Iran loro alleato).
Che possibilità hanno gli Houthi di prendere il potere definitivamente?
L’azione militare organizzata dagli stati arabi, che va sotto il nome di Decisive Storm, per il momento non è stata affatto decisiva: anzi, i ribelli ─ ammesso che ancora abbia senza definirli così, visto che controllano oltre la metà del Paese ─ non sono stati fermati. Come dimostrato nei casi siriani ed iracheni, i raid aerei da soli non bastano. Per questo gli Emirati Arabi hanno annunciato di non escludere un intervento terrestre. Per il momento, comunque, sul campo, le forze del governo regolare, fedeli al presidente Hadi, hanno riconquistato un collegamento importante tra due aree di Aden, che renderebbe complessi i rifornimenti da nord. E proprio al nord, nella capitale Sanaa, i bombardamenti guidati dall’Arabia Saudita, hanno colpito diversi edifici e infrastrutture chiave controllate dagli Houthi.
Ma l’invasione di terra ci sarà?
L’ambasciatore saudita a Washington, ha detto alla CNN che non ci sono loro truppe «formali» ad Aden ─ tradotto, ci sono unità in incognito, che c’erano già prima, più qualche rinforzo, come ha rivelato una fonte a Nic Robertson ─ ma nessuna opzione è escludibile. I giorni scorsi erano circolate voci sull’azione di commandos di forze speciali saudite, che hanno ripreso il controllo dell’isola Mayun, sullo stretto di Bab el Mandeb (dove mercoledì si sono posizionate le navi iraniane). Lo stretto è un punto di strozzatura delle importanti rotte commerciali che scendono da Suez nel Mar Rosso, per entrare nel Mar Arabico e poi verso oriente nell’Oceano Indiano.
Molti analisti concordano sulle enormi difficoltà di un’offensiva di terra contro un nemico (gli Houthi) che ha un’ampia conoscenza locale, soprattutto delle aree montuose a nord e forte vocazione alla guerriglia. Inoltre, un attacco terrestre a guida saudita andrebbe incontro alle rappresaglie qaediste (e delle micro-filiali locali dell’IS), che coglierebbero l’occasione per colpire l’odiata dinastia Saud.
In definitiva, tutto dipende dalla resistenza che l’esercito yemenita (aiutato dai raid di Decisive Storm) opporrà: se gli Houthi dovessero prendere Aden, mantenere la presa su Sanaa e rafforzarsi a Taizz (seconda città più popolosa dello Yemen), allora un intervento di terra sarebbe quasi necessario, dato che i ribelli avrebbero il controllo di due terzi delle aree abitate del Paese ─ l’altro terzo, più tribale, sarebbe in mano ad al Qaeda.
E le trattative?
Che lo Yemen sia un paese diviso, non lo si scopre con l’avanzata degli Houthi, anzi sono proprio queste divisioni che hanno spinto nuovamente all’azione il gruppo sciita. Gli Houthi, al nord, sono nati nel 1992 come Youth Believing, movimento teologico pacifista che voleva far rivivere la confessione zaidita (lo zaidismo è un filone dello sciismo), ed erano già insorti nel 2004, contro l’allora presidente Saleh ─ che ora è alleato dei ribelli (ma questo è il Medio Oriente, poco da stupirsi) ─ e l’insurrezione era durata, a intermittenza, fino alla tregua del 2010. Poi c’è stata la Primavera rivoluzionaria che ha spodestato Saleh. Al sud, invece, c’è un gruppo indipendentista, il cui leader qualche giorno fa si è dichiarato d’accordo con gli attacchi aereiSaudi-led. Nella fascia est meridionale, c’è al Qaeda, che controlla le aree tribali e che è stata oggetto di operazioni militari dell’esercito e attacchi droni americani, che non hanno risolto la situazione ─ anzi, le svariate vittime civile prodotte dai drone strike, sembra che in parte abbiano prodotto il controvalore di avvicinare la popolazione alla narrativa qaedista, ora ancora più forte per la rivolta sciita.
Uno dei leader houthi, Saleh al Samad, parlando a Reuters non ha escluso la possibilità di un cessate il fuoco: ha parlato di indipendenza del sud (e dunque del nord in mano loro) e di colloqui facilitati da entità terze e non aggressive. Mentre gli Houthi vorrebbero qualcosa come l’Onu, gli Stati Uniti vedrebbero meglio il Consiglio di Cooperazione del Golfo come interlocutore: solo che il CCG è l’organismo che praticamente ha benedetto i raid aerei di Decisive Storm, il che significherebbe che i ribelli yemeniti dovrebbero intavolare colloqui di pace supervisionati da chi fino a qualche giorno prima gli sganciava le bombe in testa, non una gran lettura di Washington.
È possibile, comunque, che gli Houthi vorranno usare la carta “Aden” (intesa come la conquista della città) come leva negoziale: togliere l’occupazione dalla cittadina del sud, per assicurarsi il controllo indipendente al nord. Circostanza questa, che porterebbe all’inasprimento degli scontri su ambo i lati (poi c’è sempre la variabile al Qaeda). In sostanza, per adesso, nessuna delle parti in guerra ha intenzione di intavolare negoziati, e così la guerra andrà avanti.
I civili
Chi subisce le conseguenze sono i civili, ovviamente. Lo Yemen è il paese più povero del mondo arabo: le gente vive con 7 dollari al giorno, mentre la media degli altri stati limitrofi è di 86. LaCNN scrive che 16 milioni di yemeniti che vivono nelle aree controllate dagli Houthi, nell’ultimo fine settimana sono rimasti senza elettricità. Le organizzazioni umanitarie, denunciano la mancanza di medicinali, di acqua e di cibo ─ Oxfam dice che sono 10 milioni gli yemeniti senza cibo e 13 quelli che non hanno accesso ad acqua pulita, mentre secondo le stime Onu, ci sarebbero già 100 mila sfollati (tutti nelle ultime due settimane). La situazione peggiore, secondo i report, è quella di Aden.
In tutto questo casino, c’è pure al Qaeda
Come detto, nonostante la campagna di esercito locale e americani, l’Aqap ha mantenuto il suo controllo nelle province di sud-est di Hadramaut, Marib e Shabwa. Con la base delle special forceamericane di al Anad (nel sud) sgomberata di tutta fretta prima dell’arrivo degli Houthi, e con l’esercito yemenita allo sbando e focalizzato sui ribelli, le libertà in quel territorio sono cresciute esponenzialmente. Le foto di Khaled Batarfi, leader qaedista liberato nell’assalto alla prigione di Mukallah, seduto nei palazzi cittadini come un capo di stato, è una prova di forza dell’organizzazione, che ora, con la rivolta degli zaiditi sciiti, può pure esercitare magnetismo nei confronti delle tribù sunnite locali.
Un conflitto proxy, un conflitto regionale
Sullo sfondo confessionale delle parti in guerra (sciiti e sunniti), ci sono realtà geopolitiche di carattere regionale. Sauditi e iraniani sono nemici storici, esistenziali. Ray Takeyh del Council on Foreign Relations di New York, spiegava sul Wall Street Journal che l’approccio «muscoloso» alla questione Yemen, ha inaugurato una nuova linea in politica estera per Ryad, svincolata dall’alleanza storica con l’America, ormai considerata troppo inaffidabile. Il compromesso sul nucleare iraniano, è uno dei termini di misura della sfiducia saudita ─ a tal proposito, ad avvalorare la posizione del Regno, proprio oggi la Guida Suprema Ali Khamenei si è espresso per la prima volta sull’accordo, definendolo «non vincolante» per l’Iran, e il presidente Rouhani ha dichiarato che senza la rimozione immediata delle sanzioni, salterà l’intesa quadro. I sauditi stanno cercando la partecipazione del Pakistan alle operazioni militari (i pakistani ricevono finanziamenti annuali dai petrodollari arabi). Pakistan che condivide un lungo confine con l’Iran: è l’onda lunga del conflitto in Yemen.
In un fondo sul Daily Star, il giornalista americano di origine palestinese Rami Khouri, ha scritto che la vicenda yemenita potrà segnare il passaggio a una nuova éra nella regione: le varie nazioni non guarderanno più a Washington, a Mosca, o alle Nazioni Unite, per portare avanti la loro politica estera, ma cercheranno alleanze e coalizioni regionali ad hoc, per difendere i propri interessi.
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