Sull’etimo della parola ianara o janara ci sono un’infinità di teorie. La più accreditata è forse quella che vuole che iana derivi da Diana o Ecate, la divinità dei morti. Iana o janara, a differenza della jana sarda, la fatina graziosa ed elegante, benevola verso gli uomini, si assimilerebbe al mito di Ecate (Diana), che vive tra il mondo dei vivi e quello dei morti e porta con sè un’aura malefica. Come le streghe del Medio Evo, le ianare si dedicano alle fatture, hanno contatti con il diavolo, sono mammane e accabbadore.
Anche Adelina, la protagonista del romanzo di Licia Giaquinto, pur guardando con sospetto all’attività delle altre donne, tra cui la stessa madre, finirà col diventare lei stessa ianara, in quell’Irpinia degli anni ’60 in cui ogni fatto, ogni gesto, ogni avvenimento è legato all’attività del demonio o di qualche santo. Adelina cercherà di sfuggire al suo destino , attraversando paesi, boschi e campagne, fino a giungere al palazzo del Conte, di cui diventerà , dopo la morte di Rosa, la donna che lo accudirà e lo accompagnerà fino alla fine della sua esistenza, con una devozione sanguigna e testarda, gelosa perfino dell’affetto che lega il conte a Lisetta, la bambina morta che lo segue nel palazzo e che lui guarda con un’adorazione quasi perversa.
‘Non avrebbe permesso alla morte di portarselo via se prima non avesse bevuto l’ultima goccia. Nessuno dopo di lui avrebbe profanato la sua bambina racchiusa in quelle bottiglie.’ ‘Era stato un contadino a trovarla. Il vino era già nelle botti. Si trattava adesso di tirar su le vinacce per torchiarle e trarne gli ultimi succhi. Ed ecco che qualcosa si era impigliato tra i denti del forcone. Il contadino aveva pensato a un intrico di graspi, e per districarlo si era accanito a spingere con forza il forcone, che però si era impuntato, allora aveva cercato di eliminare l’ostacolo con le mani. M a era qualcosa che non apparteneva all’uva e alle bucce e ai graspi, quello che aveva portato alla luce.
‘Si, era lei, Lisetta, la sua bambina , quel grumo di capelli viola attorcigliati ai graspi. Quel corpicino esile e rigido, rivestito di straccetti imbevuti di mosto … ‘
Licia Giaquinto ha una scrittura fortemente evocativa, potente, a tratti poetica, e questo libro non resterà senza echi. Tenetelo d’occhio.
Licia Giaquinto è nata in Irpinia e vive tra Bologna e Amalfi. Laureata in lingue, ha vissuto a Parigi facendo qualche lavoretto. Prima de La ianara ha pubblicato “Fa così anche il lupo” (Feltrinelli), “È successo così” (Theoria), “Terre Rare” (Tam Tam di Adriano Spatola) e le raccolte “L’osceno teatrino”, “La foce del sonno”, “L’amantide”, “I Tarocchi”, “Angeli e fiumi”. Per il teatro ha scritto alcuni testi, tra cui “Margherita da Cortona”, “La confessione” e “La notte”, che sono stati rappresentati da diverse compagnie. Ha partecipato alle antologie “Enokiller” e “Chocokiller” (Morganti).