Magazine Cinema
Cile, Polonia, Danimarca, 2013
30 minuti
I componenti di una famiglia si riuniscono nella loro casa per le vacanze estive, situata su una tranquilla isola del Cile. Tra i preparativi per il barbecue, un'incursione nel bosco e il riemergere di vecchi ricordi, attendono, invano, l'arrivo di Jaime, fino al calare della sera... La Isla, premiato con un Canon Tiger Award all'ultimo IFFR, è un film che si avvale della sua natura più contemplativa per imboccare in qualmodo i sentieri del thriller, e procedere fin da subito attraverso uno stato di duplice attesa. È l'attesa che si instaura dapprima nello spettatore, auditore (testimone fuori campo) già dalla seconda, essenziale inquadratura, di uno schianto automobilistico mentre osserva una landa adusta (alberi e ramaglie strinati, un'ambiente che nella sua conformità prelude istantaneamente alla perdita, all'assenza) gradualmente svelata dal lentissimo e ipnotico retrocedere della cinepresa. E al contempo, è l'attesa per quel familiare che non arriva; la preoccupazione che con il passare del tempo cresce all'interno di questo gruppo mettendoci in stretta sintonia con esso, e con gli eventi, finchè la radio locale di un'imbarcazione non diffonde la tragica notizia del mortale incidente. Ed è interessante notare, come ancora una volta sia lo spettatore il primo a ricevere i segnali, in quanto, la famiglia verrà a conoscenza dell'accaduto solamente a sera inoltrata, nel momento in cui la camera ne scruta silenziosamente il dolore dall'esterno di quell'abitazione avvolta nella vegetazione, senza necessità di avvcinarsi oltre, nè di udire parola alcuna. Viene a crearsi quindi una sorta di parallelismo che la coppia di cineaste di origine polacca Sotomayor/Klimkiewicz, accentua oltremodo tramite una prospettiva formale affascinante, dipingendo un paesaggio ad alto contrasto dove le ombre si stagliano con rilevanza nonostante i riflessi del sole penetrino qualunque spazio (la radura, il casolare abbandonato, il molo) e che, nei due istanti più suggestivi (la lunga carrellata orizzontale a centro film che segue il percorso in riva al lago di una giovane coppia - l'estatica navigazione in soggettiva, autentica immersione nelle nebulose acque dell'imminente vuoto parentale) sembra addiritura generare una dimensione altra, speculare a quell'isola che tutto assimila, ridisegnandone geograficamente le forme sull'acqua. È una dimensione assimilante, un luogo che fagocita vite, memorie e sentimenti umani e che, alle soglie dell'epilogo, sembra permearsi in maniera ancor più intrinseca dell'a(e)ssenza di Jaime. E volendo, si potrebbe infine suddividere La Isla anche per analogie stilistiche; una prima parte che riporta istintivamente al cinema di Jaime Rosales (Sueno Y Silencio), soprattutto per una determinata scelta nel delimitare i soggetti ai margini dell'inquadratura (o nascosti dagli arbusti, mascherati nella vegetazione), e una seconda (magistrale) che nel lento tramontare diurno riesce a giocare in maniera eccellente con le suggestioni più tipiche del genere.
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