Era nell’aria da qualche mese, adesso è divenuta un’angosciante certezza: al termine della stagione attuale, quella leggendaria casacca gialloviola numero 24 sarà riposta in un cassetto, smettendo di infiammare lo Staples Center per sempre. La NBA, che a fine anno dovrà probabilmente separarsi da altre icone degli anni 2000, perderà la stella più scintillante dell’ultima decade; ma come amava cantare Freddy Mercury: “The show must go on”. Ovviamente stiamo parlando della notizia che ha scosso lo sport americano (e non solo) dal 30 novembre scorso fino ad oggi: Kobe Bryant, con una lunga e struggente lettera, ha dato l’addio al basket; o meglio darà, perché è obbligato quantomeno ad onorare il suo glorioso passato e lo scenario nel quale si trova invischiato attualmente rende quest’ultima sfida molto complicata.
Il 2013/2014 fu la peggiore stagione di sempre per la franchigia californiana, con un record di 27-55; poi è venuto il 2014/2015 e i gialloviola hanno fatto di peggio concludendo la stagione con un imbarazzante 21-61; adesso il deprimente record di 3 vittorie su 23 partite rischia di modificare ulteriormente il libro degli orrori. Eppure, il roster attuale sembra essere sicuramente più valido rispetto a quello delle due stagioni precedenti; nonostante si paventassero fuochi d’artificio, il mercato è stato comunque discreto, essendo arrivati Roy Hibbert, il Sixth man of the year Lou Williams, Brandon Bass e soprattutto la seconda scelta al draft D’Angelo Russell.
Tuttavia i Lakers restano ancorati lì, sul fondo della Western Conference; un triste scenario che Kobe (ahimè) ha contribuito in modo preponderante a rendere tale: troppo “jordaniano” per accettare un ruolo di subalterno di lusso, troppo primadonna per abbandonare il ruolo di leader, nonché troppo maturo per essere ancora il trascinatore di una volta. Sbattere in prima pagina la sua decisione è stato l’ennesimo atto di protagonismo nel tentativo disperato di riacquisire la centralità mediatica persa da tempo; ci è riuscito al prezzo di rendere la stagione dei Lakers una lunga e dolorosa escalation dedicata al suo addio alla pallacanestro, fissato per il 14 aprile contro Utah. Le statistiche della sua stagione sono mediocri: è vero che è il miglior realizzatore e il miglior assistman della squadra con 16 punti e 3.5 assist a partita; numeri impietosi però se si confrontano con le tabelle di tiro, le quali enunciano un imbarazzante 30% dal campo e 22% dall’arco. Si aggiunga infine l’impatto negativo sulla fluidità di un gioco già di per sé scadente, che gli isolamenti di Bryant rendono sostanzialmente stagnante e improduttivo. Tutti i suoi numeri li potete leggere nella bellissima infografica realizzata da www.stampaprint.net.
A voler ascoltare i rumors losangelini, Byron Scott sembra godere ancora del pieno appoggio della dirigenza, nonostante il suo anno e mezzo trascorso sul pino dello Staples sia stato tutto fuorché esaltante. Non è riuscito a imporre la sua visione offensiva, non è riuscito a dare aggressività alla difesa; le partite dei Lakers sembrano stampate col copia-incolla: nessuna pressione sul portatore di palla, scadente protezione del canestro, inconsistente lotta a rimbalzo, tiri presi al limite dei 24 in isolamento. I Californiani sono sostanzialmente fanalino di coda in qualsiasi statistica: 97 punti fatti, 106 subiti, 18 assist di media, 41% dal campo e 32% dall’arco. Nonostante tutto, il coach continua a preferire il monopolio di Bryant alla freschezza e vivacità che a sprazzi hanno mostrato i due astri nascenti del roster, D’Angelo Russell e Julius Randle, entrambi schierati non più di 28 minuti a partita, contro i 32 di Kobe. Per di più, nella gara contro Toronto, sono stati tagliati dal quintetto iniziale, ufficialmente per motivi tecnici, ma ai più è suonata come una sorta di punizione. Tuttavia la fiducia mostrata da Scott nell’overtime contro Minnesota, nel quale i due giovani talenti sono stati schierati senza Kobe in campo, fa presagire un’inversione di tendenza volta sopratutto alla crescita del connubio fra le due colonne portanti del futuro.
Un futuro dove sembra non esserci più spazio per Nick Young, ormai scavalcato nelle rotazioni da Huertas e il redivivo Metta World-Peace. Il suo scarso impiego è difficile da spiegare, dal momento che potrebbe aiutare Kobe o Russell nel fornire più valide opzioni offensive; la sua abilità di catch&shoot potrebbe far comodo ai Lakers, ma si vocifera pure di un possibile interessamento di Miami e Memphis. Stessa sorte potrebbe toccare presto a Roy Hibbert e Brandon Bass, presentati ai fans in pompa magna, ma relegati in secondo piano da prestazioni sotto la media; discorso diverso per Lou Williams che ha piazzato fin qui 13 punti di media in uscita dalla panchina.
Detto ciò, i Lakers sono costretti a perdere e tankare, nondimeno perché è la stessa pianificazione futura a imporlo. La scelta al draft 2016 è protetta fino alla 3, dopo di che spetterebbe a Phoenix in virtù dell’affare che portò Steve Nash a Los Angeles nel 2012; ovviamente, manco a dirlo, perdere la possibilità di chiamare un giovane talento il prossimo giugno sarebbe devastante per i progetti della franchigia californiana.
Perciò, può sembrare strano dirlo, perdere può aiutare a vincere!
Kobe Bryant – www.stampaprint.net