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LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe – Cap. III

Creato il 18 dicembre 2010 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Cap. III

LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe – Cap. III
Per dover di cronaca occorre dire che Lino disprezzava sì le femmine del suo paese, eccetto una, anche se non osava confessarlo nemmeno a sé stesso.

Lino la conobbe sui banchi di scuola. Il classico colpo di fulmine. Il primo amore. E, come spesso accade, quando ci si innamora per la prima volta non si è corrisposti, tanto più se lo spasimante è convinto che l’oggetto della sua adorazione mai scenderà dal piedistallo. Dunque Lino aveva idealizzato la ragazza, l’aveva eletta a madonna e dietro alle sue gonne si struggeva non osando peraltro sussurrare il suo nome, si limitava difatti a pensarla, ‘Cristina, Cristina, Cristina…”.
La ragazza mai si accorse di Lino, anzi sì, non però in  maniera gradevole, difatti Lino divenne lo sfigato, quello da prendere per i fondelli. Da bambino, come poi da ragazzo, Lino era un tipo insignificante. Fosse stato brutto sarebbero state giuste le crudeltà inflittegli. Fosse stato bello va da sé che le ragazzine se lo sarebbero bisticciato. Invece era insignificante. Anonimo. Un tipo uguale ad altri milioni al mondo. Cristina gli appiccicò l’etichetta di sfigato, perché c’era semplicemente bisogno di uno che lo fosse sul serio o per finta. Essere lo sfigato comportava d’esser preso di mira dai compagni, soprattutto dalle ragazze. Per amor della sua Cristina Lino accettò il ruolo impostogli soffrendo in silenzio il suo dolore. Ogni qualvolta veniva tacciato d’esser brutto, ignorante, drogato, handicappato, il dolore che simili accuse provocavano veniva buttato giù a forza, senza una lacrima; e una volta giù Lino lo mescolava all’amore nutrito per Cristina. Non una volta si lamentò. Accettò che in strada i compagni lo beccassero come corvi del malaugurio. Accettò persino che le amiche di Cristina gli trovassero difetti fisici che in realtà non aveva affinché si divertissero a portarlo in giro, a indicarlo ‘mostro’ agli occhi dei paesani.

Quando si è giovani si è disposti o ad essere dei ribelli o dei martiri, degli sfigati. Lino avrebbe potuto aggregarsi con naturalezza tra le fila dei ribelli; tuttavia scelse di essere lo sfigato. Quando si è giovani si riesce ad essere crudeli anche con sé stessi. Lino accettando sù di sé l’ingrata fama dello sfigato s’immolò sull’altare dell’amore, un altare davvero misero ma che al giovane Lino non appariva tale.

Cristina non si rese mai conto che Lino se la filava. E anche se di qualcosa ebbe sentore fece finta di niente.

Gli anni passarono, Lino divenne un ragazzo, la scuola fu finita e una volta fuori da quell’ambiente gli rimase sol più la fama dello sfigato. Lino si convinse d’essere sul serio sfigato. Andare nei campi lo convinse che il destino era stato segnato per lui. A questo punto si ribellò, a modo suo ma si ribellò. Quel poco che gli riusciva di mettersi in tasca lo spendeva per andare a puttane, dove ritrovò alcune sue ex compagne di scuola a fare la vita. A loro Lino non si avvicinò mai se non per ridergli in faccia.

Le Torre Gemelle finirono polverizzate l’11 settembre 2001. Osama Bin Laden aveva sfidato gli USA. Aveva promesso al mondo di metterlo sotto il tacco dell’islamismo.

Molte di quelle che aveva conosciuto sui banchi di scuola e poi visto battere in strada si accasarono facendo la doppia vita, beghine a casa, troie di notte. Anche Cristina si sposò. Lei non l’aveva mai vista prostituirsi. Ma era una paesana. Se davvero l’infatuazione nutrita aveva significato qualche cosa per lui, Lino se ne era dimenticato. Doveva far fronte a troppe cose per ricordarsi del suo primo amore ed attribuirgli ancora un qualche significato, foss’anche e solo ipotetico.

Poi gli era capitato il sermone fra le mani e la sua vita da quel momento in poi prese una strada per certi versi inaspettata. Gli nacque in seno l’odio, che scatenò contro gli extracomunitari, in particolar modo contro chiunque sospettava fosse islamico. Cominciarono gli attacchi di panico e le gite al Pronto soccorso.

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