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LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe – Cap. XX

Creato il 09 aprile 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Cap. XX

LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe – Cap. XX
Lino non sapeva che pensare. Lei era bella, una rosa del deserto, e questo lo turbava. Non aveva mai preso in considerazione che una ragazza islamica potesse essere bella quanto il peccato. Aidha era bella e lui non riusciva a non pensare a lei senza dirla ‘bella’ e ripetendo all’infinito il suo nome con una felicità che gli esaltava l’animo sino alle porte della follia.
Dalla Chiesa gli aveva fatto avere una vecchia radio per tenergli compagnia e accelerare la sua guarigione. Passava a trovarlo, con puntualità allarmante, ogni santo giorno. Anche due o tre volte e sempre si presentava con un piccolo dono. L’ultima volta gli aveva regalato la radiolina che adesso stava ascoltando. Non gli riusciva proprio d’indovinare perché il primario fosse diventato così tanto umano nei suoi confronti. Però ascoltare musica alla radio lo pacificava. Forse dopotutto i suoi timori erano il frutto d’un’immaginazione esagerata che per troppo tempo si era nutrita alla fonte del ‘dubbio’; forse la società non era così egoista e cattiva come lui aveva dato per scontato.

Il sermone se lo era dimenticato, o meglio non chiedeva più che gli venisse restituito. La cassa della radiolina, seppur con un po’ di gracchio, sputava fuori la voce di Sting, una canzone che glielo faceva venire suo malgrado duro. La “Desert Rose” di Sting lo traduceva in un’oasi di felicità proibite dove lui e Aidha erano gli dèi incontrastati. “I dream of rain / I dream of gardens in the desert sand/ I wake in pain/ I dream of love as time runs through my hand… This desert rose/ Each of her veils, a secret promise/ This desert flower/ No sweet perfume ever tortured me more than this…”; e pur non capendo una sola parola d’inglese al malato non sfuggiva la forte carica erotica di cui la canzone era pregna.

Quando alle ventidue le luci del reparto si spensero lasciando lo spazio d’attorno invaso dai lamenti dei vecchi morenti nei loro letti, Lino raccolse in mano il suo sesso e prese a masturbarsi pensando ad Aidha. Non aveva mai sospettato che masturbarsi gli potesse dare tanto piacere, né prima d’allora aveva creduto di riuscire a spararsi tre seghe in meno d’un’ora.
Comprese d’esser cotto. Anzi di più. Aidha lo aveva stregato. Riusciva sol più a pensare a lei.
Quella notte Lino la passò in bianco. Con le prime luci dell’alba di nuovo si prese il cazzo in mano ed eiaculò gridando il nome della ragazza. Cadde infine in un sonno profondo senza né ombre né sogni.

(c) Coperto da copyright. Severamente vietata la riproduzione parziale o totale della presente Opera, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 9.

NO OT


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