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LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe – Cap. XXVIII

Creato il 20 febbraio 2012 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe

Cap. XXVIII

LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe – Cap. XXVIII
Una nutrita accozzaglia di tipi, uno diverso dall’altro. Questo non l’aveva previsto quando, su due piedi, aveva deciso di seguire La Muerte. Sotto la maschera c’era un uomo, sulla cinquantina, forse un maghrebino, completamente calvo e senza sopracciglia: ma con dei denti perfetti, bianchi.
“Eccoci, dunque”, disse. “Qui tutti chiamano me Kuskusu”, ed esplose in una risata, metallica, che pareva strappata dal culo dell’oltretomba.
Lino era più che mai sconcertato. Non s’aspettava di certo di trovarsi in mezzo a quello che all’apparenza pareva proprio una carovana di freak. Ce n’era per tutti i gusti, dallo spilungone al nano; strani individui con sei dita per mano, uomini con la pelle squamosa come quella d’un pesce, donne con seni enormi come botti, ragazze bellissime ma con le orbite degl’occhi vuote, uomini-bambini e chi più ne ha più ne metta. Lino se non era disgustato era però turbato: in vita sua non aveva mai visto uno spettacolo del genere. Sapeva, per sentito dire, che al mondo esistevano anche degli scherzi della natura, ma mai più avrebbe immaginato di finirci in mezzo. Un brivido freddo accompagnato da un sudore freddo lo fecero tremare visibilmente. Kuskusu lo squadrò divertito abbozzando un sorriso di scherno, come a dire, ‘Janna e Uri aspettavi forse tu trovare qui?’.
Allo sconcerto iniziale fece presto seguito la rabbia, la rabbia di chi si sente preso per i fondelli. Con un coraggio che non credeva d’avere, seppur circondato da strani individui che poco o nulla avevano di umano, Lino gonfiò il petto.
“Aidha…”, berciò. E non aggiunse altro. La rabbia unitamente alla delusione gli avevano mezzo soffocata la gola. Respirava male ingoiando aria a vuoto, come panicato. Ci volle davvero poco perché un capogiro lo facesse prima sbandare e poi ruzzolare a terra.
Kuskusu rimase a osservarlo, con malignità animale.
“Aidha…”, ripeté Lino con un filo di voce grattando con le dita il duro asfalto sotto il suo sedere. “Aidha… avevi detto che… io seguire te e trovare lei…”.
Kuskusu, serafico, continuò a osservare l’uomo; e solo dopo quello che a Lino parve un tempo infinito gli rispose: “Avere detto la verità. Aidha qui”.
Lino cercò invano di rimettersi in piedi. La testa gli girava e intorno a lui un bailamme inumano non lo aiutava di certo a riprendere il controllo dei propri nervi. I freak si erano radunati intorno a lui. Lo fissavano con curiosità, con sguardo divertito e gelido. Le loro occhiate le poteva sentire penetrargli nella carne.
“Aidha qui”, confermò di nuovo Kuskusu mostrandogli una fila di denti bianchi, così tanto da sembrare posticci. Lino non aveva mai visto una dentatura così.
“Guardi i denti, vero?”
Lino inghiottì a vuoto della saliva che non aveva. Accennò un breve ‘sì’ con il capo.
“Miei denti belli. Molto forti. Questi tagliano ogni cosa. Forti più di parole. Tu credere a me?”
Kuskusu si divertiva. Lino avrebbe voluto saltargli al collo. Ma il suo culo continuava a rimanere inchiodato all’asfalto.
“Tu non arrabbiare con me. Io detto verità. Donna che tu cercare qui. Io adesso chiamare lei così tu potere respirare”. E così dicendo si aprì un varco in mezzo ai compagni freak, che lo lasciarono passare mostrandogli aperta deferenza.

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