LA LEBBRA di Iannozzi Giuseppe
Cap. XXXI
Per Dio, era così diversa! Eppure era lei, senz’ombra di dubbio.
Rideva, in maniera oltremodo sguaiata, imperdonabile per qualsiasi donna di fede islamica.
E non nascondeva i capelli, che lunghi e corvini baciavano e si lasciavano baciare dalle dita di Gabriele.
Entrambi ridevano.
Incubo peggiore non gl’era mai capitato. Ma era la realtà.
Kuskusu aveva tutta l’aria di uno che se la godeva un mondo. Lino non riusciva a comprendere in quale assurda trama fosse caduto e perché: unica certezza era data dal fatto che il suo fragile castello di sogni era franato.
Non aveva che due scelte: o impazzire, o compiere un atto di forza. La tentazione forte era quella di cedere, di lasciarsi scivolare nell’inesorabile vortice della pazzia e farla così finita; tuttavia un non ben definito istinto di sopravvivenza gli suggeriva di raccogliere le poche forze che gl’erano rimaste e ribellarsi.
Il sermone gli bruciava le chiappe.
Riposto nella tasca posteriore dei pantaloni, per un po’, se n’era dimenticato. Ad un certo punto era stato persino tentato di buttarlo perché fosse l’oblio ad averne ragione.
La mano di Gabriele scivolò sul culo di Aidha. E non per una semplice palpatina. La ragazza lo lasciò fare, quasi senza prestargli attenzione, evidente segno questo che la loro intimità era ben profonda e radicata da un pezzo.
Kuskusu portò il suo mostaccio proprio sul naso di Lino, che, ancora con le chiappe a mordere la polvere, rimase a subire l’alito mefitico del suo torturatore: “Dunque, adesso tu capire che cose non stanno come tu credere?”
Se solo avesse avuto più forza e coraggio, forse un pugno sarebbe riuscito ad assestarglielo. Restò invece inerme, col fiato serrato in gola e gli occhi sgranati ma oramai arresi all’evidenza: su tutto s’era ingannato e si era lasciato ingannare. Era un fesso. Non era cambiato d’un pelo da quando aveva pensato di tentare la fortuna nell’Augusta Taurinorum.
I freak alle spalle della trinità Aidha-Gabriele-Kuskusu non potevano non schernire Lino, ridotto a meno d’una larva umana: incapace di abbozzare anche un solo ‘ma’, lo spettacolo che gli offriva era di quelli rari, anche per dei tipetti come loro.
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