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La legge 40/2004 è incoerente

Creato il 01 settembre 2012 da Ilnazionale @ilNazionale

La legge 40/2004 è incoerente1 SETTEMBRE – Pochi giorni fa è giunta la tanto attesa sentenza della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, istituita nel 1959) riguardante la diagnosi pre impianto sugli embrioni, ambito regolato in Italia dalla legge 40/2004.

Questa disciplina normativa è stata oggetto, sin dal 2004, di numerose questioni di legittimità costituzionale. Già nel 2005, a pochi mesi dalla sua entrata in vigore, il Tribunale di Cagliari sollevò tale questione circa l’articolo 13 della suddetta legge rispetto agli articoli 2 – 3 – 32 della nostra Costituzione. In quel caso infatti una donna affetta da beta-talassemia aveva visto negarsi la possibilità di diagnosticare tale malattia sull’embrione.

Nel 2008 fu la volta del Tar del Lazio che annullò le linee guida per l’applicazione della legge 40 per “eccesso di potere”, nella parte in cui veniva negata la possibilità di condurre indagini sull’embrione. L’anno dopo la Consulta abolì il divieto della crioconservazione, riconoscendo alla coppia il diritto ad esser informarti sullo stato di salute dell’embrione, insieme a quello di fecondare un massimo di 3 embrioni.

Con i tanti altri ricorsi degli ultimi 8 anni, la legge 40 è stata quindi smantellata, pezzo dopo pezzo.

Oggetto della recentissima pronuncia della Corte di Strasburgo è la vicenda di due aspiranti genitori che nel 2010 si scontrarono con gli articoli 4 e 13: solamente le coppie sterili possono ricorrere alla fecondazione assistita – ed i coniugi del caso non lo sono – ed inoltre è vietata l’analisi di embrioni per selezionare quelli sani da impiantare.

La seconda questione in particolar modo era per i coniugi di fondamentale importanza, essendo entrambi affetti da fibrosi cistica.

La CEDU, dopo aver analizzato la legge 40, si è pronunciata definendo “il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi pre-impianto degli embrioni incoerente”.

In particolare la legge sarebbe rea di violare l’articolo 8 della Convenzione Europea, che riconosce “il diritto al rispetto della vita privata e famigliare” nel quale sarebbe compreso anche il diritto di una coppia ad avere un bambino non affetto da malattie genetiche dei genitori.

Tale disciplina sarebbe per altro in aperto contrasto con la legge 194/78 (aborto): è vietato ai genitori di ricorrere alla diagnosi pre-impianto per evitare d’impiantare un feto affetto dalla loro stessa malattia, salvo poi consentire a questi, ad operazione avvenuta, di ricorrere all’aborto terapeutico.

Questa legge tanto controversa è per altro sotto diversi aspetti incoerente e non in linea non soltanto con il panorama legislativo italiano – come ricordato in precedenza già nel 2010 la Corte Costituzionale con la sentenza 151 rimosse alcuni obblighi perchè incostituzionali – ma anche europeo, essendo solamente tre i Paesi in Europa che non ammettono la diagnosi pre-impianto.

Le ragioni di tutto ciò sono da rinvenire nel “dilemma morale” che afflisse il nostro Parlamento nel momento della redazione del progetto legislativo. Questo è infatti frutto di un bilanciamento di interessi tra la salute della donna, i diritti della coppia e la tutela della vita dell’embrione. In particolare si temeva – e si teme ancora oggi – una deriva eugenetica, in cui si selezionano gli embrioni così da soddisfare i desideri delle persone di avere un figlio biondo piuttosto che moro etc. In realtà, come ha spiegato il Prof. ginecoloso Mauro Costa “l’eugenetica non c’entra nulla, perché riguarda il tentativo da parte di Governi e Stati di condizionare il tipo di persone che devono o non devono nascere e condizionare le caratteristiche genetiche. In questo caso stiamo parlando di qualcosa di molto diverso: si tratta di diagnosticare su un singolo embrione una singola malattia, accertabile tra l’altro con l’amniocentesi quando però il feto è già alla 15esima settimana di gestazione”.

Questa legge quindi oltre a limitare di fatto la capacità decisionale dei futuri genitori, limitando la possibilità di conoscere pre-impianto solo eventuali malformazioni gravi e non le eventuali malattie diagnosticabili mediate l’amniocentesi, espone anche la madre a rischi elevati: per la legge 194 è possibile infatti ricorrere all’aborto terapeutico solo laddove il feto malato possa provocare danni alla salute della donna, in un momento in cui per conseguire tale risultato, è necessario un intervento chirurgico, con i pericoli che questo comporta.

Ad oggi la questione non è ancora risolta in modo unico: se da un lato il dott. Costa non rileva alcun pericolo di una deriva eugenetica, il prof. Spagnolo ha invece espresso disappunto per la decisione di Strasburgo, sostendo che la Corte non ha colto il senso della legge italiana, che in nome del rispetto per la vita – anche quella embrionale – permette l’aborto non direttamente a seguito di una diagnosi di una qualsiasi malattia a carico dell’embrione, ma solamente nel caso in cui tale malattia possa provocare un danno alla salute della madre; per tutelare l’embrione, degno di tutela alla stessa stregua di un essere umano già nato.

Quale che sia la posizione che si sceglie di sposare, l’Italia dovrà conformarsi alla sentenza salvo che decida – come sembrerebbe – di fare ricorso entro 3 mesi, trascorsi i quali viceversa la decisione non sarà più impugnabile; costringendo così lo Stato a rivedere il proprio corpus normativo in campo bioetico. Grazie all’art. 117 della Costituzione è infatti riconosciuta alla Convenzione un rango sub-costituzionale, in virtù del quale qualsiasi legge ordinaria in contrasto verrebbe ad esser considerata incostituzionale.

Giuliasofia Aldegheri


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