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Secondo la Passio Acaunensium martyrum (Passione dei martiri di Acauno), scritta da Eucherio vescovo di Lione (Lione 380 – 449/50) Maurizio era il generale di una unità dell’esercito romano che portava il nome di “Legione Tebea”. Questo nome era dovuto al fatto che i suoi effettivi erano stati arruolati in Egitto, nella regione della città di Tebe. Eucherio raccontò la storia della Legione Tebea e dei suoi martiri, indicando il luogo del martirio in Agaunum (Saint Maurice-en-Valais) dove ancora oggi si trova l'Abbazia territoriale di San Maurizio d'Agauno.
Ecco a grandi linee la storia.
L’impero romano nel terzo secolo d.C., si era rivelato troppo vasto per essere guidato da un solo imperatore. Così era stato deciso che a governarlo fossero quattro Tetrarchi (una loro statua è tuttora visibile a Venezia): due “augusti” aiutati ciascuno da un “cesare”, che dovevano regnare in armonia. Dei due augusti, tuttavia, uno spiccava per autorità. Era l’augusto Diocleziano, un soldato che aveva fatto carriera ed era salito al trono nel 284 d.C. dopo una serie di congiure di palazzo e violente guerre civili. Ora, secondo il racconto agiografico, Diocleziano ordinò alla Legione Tebea di lasciare la parte orientale dell’Impero per difendere, agli ordini dell’augusto Massimiano, i confini occidentali di Roma dalle invasioni dei popoli barbarici.
Possiamo immaginare la meraviglia di questi uomini del deserto – che avevano attraversato il mare e poi percorso la verde Pianura Padana – quando si trovarono accampati ai piedi della barriera formidabile costituita dalle Alpi. Ma i Romani, questo è noto, avevano costruito un’ottima rete di strade, così per la legione non fu un problema valicare le montagne e passare dall’altra parte, nella terra chiamata Gallia.
Un tempo essa era stata patria di guerrieri formidabili e feroci, chiamati Galli, ma ora, più di trecento anni dopo la conquista realizzata da Giulio Cesare, era una terra pacifica di città ricche e industriose. Così prospera da suscitare il desiderio di razzia da parte delle tribù dei feroci Germani, che vivevano oltre il fiume Reno, in una terra in cui non esistevano città, ma solo villaggi isolati, circondati da selve e paludi.
La Legione del generale Maurizio si batté valorosamente contro i Germani, riuscendo infine a ricacciarli nelle loro terre oltre il fiume. A quel punto, tuttavia, l’augusto Massimiano, invece di rimandare a casa la legione, decise di utilizzarla per una missione imprevista. Nella valle del Rodano si era insediata una comunità cristiana. A quel tempo la fede in Cristo costituiva un gravissimo delitto, contro il quale erano comminate le sanzioni più gravi, compresa la pena capitale.
Ai Tebani fu ordinato di rastrellare i cristiani presenti in quelle terre perché fossero portati davanti al giudice e condannati. Qui però sorse un problema. I legionari erano tutti cristiani e dal comandante in giù si rifiutarono di eseguire questo ordine inumano contro i loro fratelli nella fede.
«Siamo tuoi soldati» scrissero all’imperatore «ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a lui l'integrità e la salute, da te abbiamo percepito il salario, da lui il principio della vita [...]. Metteremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo col sangue degli innocenti [...]. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio... Ecco deponiamo le armi [...] preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli [...] non neghiamo di essere cristiani [...] perciò non possiamo perseguitare i cristiani».
Massimiano dopo aver vanamente minacciato i ribelli ordinò di frustarli e poi di decimare la legione: un uomo ogni dieci fu messo a morte, secondo un’antica punizione dell’esercito. Poiché i soldati non si piegavano fu ordinata una nuova decimazione. Infine, vista inutile ogni minaccia, l’intera legione fu messa a morte. Solo pochissimi riuscirono a fuggire, riparando a sud delle Alpi.
È interessante conoscere anche le loro storie…
(continua)
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