La leggerezza dei corpi: simone martini
Creato il 01 luglio 2013 da Giuseppeg
Esattamente l’opposto
di Giotto, del suo modo di intendere i corpi nel loro travaglio terreno - vedi “La religione dei corpi” -, nella loro pesante realtà di dolore ma anche, al tempo stesso, nel riscatto che quei corpi hanno ottenuto nella sua pittura,
attraverso un recupero di una loro espressività e di una nuova dignità sia
materiale che artistica. Per Simone Martini, invece, quasi contemporaneo di
Giotto ma distantissimo da lui nelle intenzioni e nello stile, il corpo è
comunque un qualcosa di bello, un accessorio, un elemento decorativo
importantissimo che non conosce pesantezza. Per Simone non vi è alcuna lotta o
contrasto, ma solo azione pura e semplice; le sue figure o sono specchio dell’anima
- e dell’anima sola, senza il travaglio del corpo -, oppure sono semplici
comparse, sfondi animati e senz’anima come i personaggi di un presepe.
Maestà (affresco, 1315,
Siena, Palazzo Pubblico). Guardate questa folla di santi. Guardate la finezza
con cui sono tratteggiati i loro volti, le espressioni diversamente tranquille,
l’eleganza delle loro pose: sembrano tante fiammelle che circondano la grande
fiamma centrale - una Madonna sopra un trono tripartito, a guglia, come un
trittico del tempo o una facciata di una cattedrale gotica. Sono santi e sono
martiri che hanno già realizzato la loro missione, hanno già compiuto il loro travaglio terreno. I loro corpi non sono più un peso perché sono privi di ambivalenza.
San Martino
abbandona le armi (affresco, 1317 ca., Assisi, Basilica inferiore di San
Francesco). Qui il confronto con Giotto è d’obbligo, non soltanto per lo stile,
ma anche per la posizione degli affreschi stessi. Nella stessa basilica,
infatti, nel piano superiore, sono presenti i capolavori immortali di Giotto,
con il suo san Francesco di carne ed ossa. Ora, osservando bene quest’affresco,
non possiamo negarci che ci siano delle affinità con il maestro fiorentino:
basti notare la cura per l’elemento naturalistico, con lo spessore delle
montagne e la presenza di elementi sullo sfondo. Tuttavia, a ben guardare, le
affinità finiscono qui. Certo, le figure umane sono molto più ‘spesse’ e
voluminose rispetto ad altre pitture di Simone, ma la loro essenza è
incredibilmente leggera e a tratti quasi trasparente, senza il fardello delle
figure di Giotto. Prendiamo proprio san Martino, ad esempio: è un bellissimo giovane,
elegante e slanciato; il protagonista ideale di qualunque fiaba. È la bellezza
il solo tratto distintivo che ne fa il protagonista del dipinto, non il suo
spessore morale. I tratti di tutti i volti sono disegnati con cura, molto più
precisi e dettagliati rispetto a quelli di Giotto: ma il dettaglio, in questo
caso, non è sinonimo di profondità, ma di meticolosità aneddotica, e perciò di
dispersione. Gli abiti, i panneggi, le decorazioni sui padiglioni: il tutto è segno
di un accurato preziosismo che non rimanda ad un mondo reale, ma a quello fittizio
dei cantari cavallereschi. Le figure di Simone sembrano uscite da un sogno.
Annunciazione
(tempera e olio su tavola, 1333, Firenze, Galleria degli Uffizi). Ed eccolo
qui, il capolavoro di Simone Martini. Una tavola di un’eleganza e una
perfezione per molti aspetti insuperate e insuperabili, dove tutto il sistema
emotivo è contenuto nella trama lineare di questo disegno purissimo. L’angelo,
così sottile ed etereo, che si sporge verso la figura di Maria; il personaggio
della Madonna stessa, così elegante in quel suo gesto di tirarsi indietro che
era sì tipico dell’iconografia mariana, ma che non aveva mai raggiunto quella capacità di torsione e movimento che ha raggiunto in questo caso. Il movimento
adesso esprime ciò che non esprime il corpo: diffidenza, paura,
predestinazione, provvidenza. I panneggi nei vestiti non sono mai eccessivi: tutto infatti si risolve con la bordatura dorata che delimita il disegno delle figure e al
tempo stesso ne evidenzia i volumi, i movimenti, le forme. I corpi sono
scomparsi, è vero, ma si riscopre il gesto. Alla linea sinuosa e simmetrica
tracciata dalla Vergine e dall’angelo fanno da contraltare le linee rette del
trono - preziosissimo nei suoi ornamenti -, il pavimento pieno di intarsi
marmorei ed il vaso con i gigli simbolo di purezza, che dividono l'intera scena a
metà. Movimento contro staticità, dunque; calligrafismo contro spessore ed evidenza: in altre parole, Simone
Martini e Giotto.
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