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Entro in casa, entro nella doccia, entro nel letto. Un lenzuolo è lo schermo attraverso cui ho visto dei volti, diversi ma tutti bellissimi. Il capo, il corpo adagiati, le membra in riposo, solo le mani e i piedi che appena respirano. Il sole fa presto a tramontare, mi alzo, in cucina prendo un caffè, sotto la doccia, di nuovo, canto a lungo, sotto un cielo stellato mi sento solo, sotto la sua pelle invece gridavo. Di rabbia, di voglia, di piacere. Mi ha dato una lettera e mi ha baciato, vale a dire che è entrato nella mia bocca, indiscreto e sbrigativo, solenne.
Pronto alla fuga, poi mi ha scoperchiato. Adesso che nel vento sono di nuovo solo e brulicano le parole in attesa di un riscontro, le ignoro, ma loro sprezzanti bussano, graffiano il viso, le mani. Do loro l’unica speranza di salvarsi, ne prendo due a caso da una pagina qualsiasi sperando di calmare la folla inferocita, ma subito le altre scricchiolano oltre la pagina, da un momento all’altro si spezzeranno, devo fare qualcosa.
Mi sembra di salutare tanti parenti pressoché sconosciuti a un pranzo di Natale, sono in ritardo, dovrei prender posto, ma ricordo di avere dei conti in sospeso con ognuno per cui mentre guardo in una direzione le mille sirene mi seducono subito verso tutt’altra zona, quasi mi seggo ma poi subito in piedi, il mio peso sulla sabbia è impercettibile, devo essere un elfo, ma non risulta dai miei documenti.
Se non mi alzo davvero le onde arriveranno fino ai miei piedi, dietro di me invece la pioggia scenderà fino alla spiaggia, dietro di me allora la tosse viene subito soffocata dal vento, ansimo quando rientro, sono ancora le undici. Poso le chiavi, mi spoglio completamente perché dentro l’aria sembra mancare. La lettera è bagnata, la stendo sul lavandino con la stessa cura con cui mi adagio sul divano, una birra in mano che gocciola con le poche gocce di pioggia che ancora non sono evaporate tra la peluria delle mani. Presto un’altra lattina aggiunge il suo umore disgustoso, giallastro precipizio sul collo. Accanto a me aumenta la latta, sono già le tre quando ricordo che la lettera dovrebbe esser asciutta, stropicciata ma secca.
Guarda il soffitto, non dovrebbe crollarti addosso. Se mai, oltre il soffitto c’è un altro corpo, un corpo d’uomo disteso, come il mio non tanto pesante da sfondare quel piccolo cielo vagante di luci che posso veder spostarsi rapide e formose, tanto vicine che mi scaldano. Mi sollevo, seduto guardo verso la cucina, mi decido ad alzarmi, striscio sul pavimento, indosso una maglia molto lunga, una delle sue, prendo la lettera ormai sbiadita, blu nel blu vola via nella notte.
* Questo racconto apriva, anni fa, un volume di contributi dedicati a Pier Vittorio Tondelli. Ringrazio ancora Enos Rota per la pubblicazione.
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