"Illustre Presidente, caro Giancarlo,
faccio seguito alla telefonata di ieri sera per chiederTi, a nome di tutte le società della Lega Serie A, di investire quanto prima il Consiglio Federale di una riflessione, che ritengo non più rinviabile alla luce dei recenti accadimenti, sugli effetti perversi, o quanto meno inizialmente non previsti o sottovalutati, delle modalità di applicazione dei nuovi articoli del Codice di Giustizia Sportiva modificati e/o introdotti nei mesi scorsi in materia di lotta al razzismo e recepimento delle relative norme UEFA.
Per quanto ovvio possa apparire, è doveroso ribadire in premessa che la Lega ha pienamente condiviso la decisione assunta all'unanimità dal Consiglio Federale dello scorso 4 giugno di recepire, anche nel nostro ordinamento interno, l'inasprimento del regime sanzionatorio previsto dall'UEFA in caso di comportamenti razzisti negli stadi. Lungi da noi, quindi, auspicare alcuna marcia indietro nell'attuazione di una politica di "tolleranza zero" che rappresenta un'autentica conquista di civiltà rispetto a fenomeni e comportamenti odiosi che vanno estirpati da ogni ambito, senza se e senza ma.
Ci sembra evidente tuttavia che, nel caso italiano, l'adeguamento alla linea UEFA sia avvenuto in un contesto nel quale il drastico inasprimento delle sanzioni e la non certissima applicabilità delle circostanze attenuanti o esimenti si sono innestate su una definizione preesistente assai ampia di cosa dovesse intendersi per "comportamento discriminatorio" dei tifosi (art. 11 CGS).
Ne è scaturito che, al momento, una gamma molto ampia di manifestazioni che il Codice di Giustizia Sportivo riconosce come "discriminatorie" (molto più ampia, per intendersi, di quella contemplata dal Codice Disciplinare dell'UEFA) può essere sanzionata in maniera pesantissima, con conseguenze di immagine ed economiche altrettanto rilevanti per i club. Tutto ciò senza che questi possano realisticamente adottare alcuna misura preventiva per difendersi (il che, in ogni caso, non varrebbe loro come circostanza attenuante o esimente) e senza che abbia alcuna importanza il fatto che la società stessa o la parte sana della tifoseria, isolatamente o in collaborazione con le forze dell'ordine, intervenga concretamente per far cessare tali comportamenti, e rilevi minimamente che i fenomeni si siano verificati in casa o fuori, ad opera di pochissime persone o, piuttosto, di consistenti gruppi organizzati.
Ripetiamo che non sono in alcun modo in discussione i casi eclatanti di comportamenti lesivi della dignità delle persone per motivi di razza, colore, religione o origine etnica, che vanno contrastati con ogni mezzo e sono, non a caso, sanzionati dall'UEFA.
Le prime giornate di campionato con le nuove norme in vigore hanno mostrato, invece, un campionario di situazioni che hanno riproposto i tanti dubbi sui potenziali effetti distorsivi dell 'applicazione del principio della responsabilità oggettiva, che si ritenevano ormai superati con le importanti innovazioni legislative introdotte negli ultimi anni: cori valutati in maniera difforme da organi diversi (Procura Federale e forze dell'ordine) nella stessa partita, o dagli stessi organi (Procura Federale) in partite diverse; atteggiamenti di sfida, quando non apertamente ricattatori, da parte di frange radicali della tifoseria; provvedimenti disciplinari dalle conseguenze economiche assai penalizzanti per le società assunti in esito a comportamenti di sparute minoranze di spettatori allo stadio; lesioni di diritti rivendicate da spettatori abbonati ritrovatisi nell'oggettiva impossibilità di utilizzare il proprio titolo di accesso, per colpe non proprie.
In più, la lettura dei giornali delle ultime ore mostra due ulteriori effetti che forse non erano stati tenuti in debita considerazione all'epoca del varo delle nuove norme, in particolare di quelle che hanno abolito l'applicabilità delle circostanze attenuanti/esimenti.
Da un lato, infatti, la chiusura forzata di quattro curve e di un intero stadio in appena sette giornate di campionato ha generato in tutto il mondo, per la sua obiettiva eccezionalità, la convinzione che l'Italia sia attualmente investita da una vera e propria "emergenza razzismo", il che – come appare di tutta evidenza – non corrisponde alla realtà delle cose. Ritengo che non possano sfuggire alla Federazione, come non sfuggono alla Lega Serie A, i contraccolpi devastanti per l'immagine internazionale del nostro calcio di una siffatta situazione.
Dall'altro, è proprio di queste ore il rincorrersi sui social media e i siti web di una sorta di chiamata collettiva delle curve di tutte le squadre ad una mobilitazione comune che possa provocare, già dalle prossime settimane, la chiusura volontaria e coordinata di tutti gli stadi italiani, o almeno di ampi settori degli stessi. Ben lungi dall'avere costituito un elemento di deterrenza, la chiusura dei settori per comportamenti razzisti o di discriminazione territoriale di frange di tifoseria rischia di diventare un elemento di sfida aperta verso le istituzioni o, peggio, di ricatto esplicito nei confronti delle società.
Tra le soluzioni che ci sentiamo di suggerire per ovviare, almeno in parte, a quanto sopra descritto, rientrano certamente – senza che tale elenco sia esaustivo – l'allineamento più puntuale delle norme italiane a quelle UEFA, e il chiarimento definitivo sulle circostanze attenuanti/esimenti, ad esempio attraverso l'adesione dei club a specifici programmi di formazione e sensibilizzazione anti-razzismo che la Lega ha già deciso di varare autonomamente e che potrebbero anche essere sviluppati sotto l'egida e la supervisione dell'UEFA stessa. Altri accorgimenti potranno essere utilmente valutati e messi a punto nella sede naturale del Consiglio Federale che Ti prego di convocare con l'urgenza estrema richiesta dalla situazione.