Diamo il benvenuto su Tifoso Bilanciato a Federico Freschi, un nostro lettore che ci ha regalato la possibilità di leggere e condividere con tutti voi la sua Tesi di Laurea, con la quale ha ricevuto la Menzione d'ufficio al Premio di Laurea Artemio Franchi. Federico non si è limitato a mandarci il suo lavoro, su un argomento sempre all'ordine del giorno, ma ha anche prodotto una breve sintesi del suo lavoro, che consentirà a chi vuole di farsi una prima idea sull'argomento. In fondo al post troverete il link per leggere e scaricare il suo lavoro.
L'importanza assunta nel corso degli anni dallo sport va oltre l'essenza stessa del gioco e della pura competizione, infatti il panorama sportivo attuale presenta numerose questioni e problematiche intrinseche di tipo economico, politico, sociale e giuridico. Proprio con riferimento a quest'ultimo aspetto si è sviluppata nel tempo una branca del diritto “dedicata” allo sport, conseguenza dell'autonomia da tempo reclamata dal mondo sportivo, convinto di poter esistere come ordinamento separato e non subordinato in toto all'ordinamento statale.
È facile comprendere come i rapporti giuridici nascenti in ambito sportivo trovino, dunque, una complessa regolamentazione, composta da disposizioni normative nazionali e comunitarie, regole delle organizzazioni statali e regole delle organizzazioni internazionali. Effettivamente le peculiarità del settore sportivo sono evidenti e si dovrebbero richiedere deroghe su deroghe rispetto all'ordinamento statutario nazionale ed europeo.
L'attenzione del seguente elaborato è posta su una tematica quale la libera circolazione degli sportivi nell'Unione europea, tema su cui si è espressa la Corte di Giustizia già a partire dagli anni '70 e che ha dato vita ad un acceso e sempre attuale dibattito grazie, in particolare, alla famosa sentenza “Bosman” del 1995: tale sentenza ha sicuramente rivoluzionato il mondo dello sport, quello del calcio in primis ovviamente, e ha dato vita ad un crescente contrasto tra organizzazioni sportive ed istituzioni comunitarie, decise a salvaguardare i principi di libera circolazione dei lavoratori sul territorio comunitario e di non discriminazione all'interno dello stesso. Proprio da quest’ultima sentenza discende una copiosa giurisprudenza che ha portato, e porterà, ad un nuovo approccio verso lo sport e ad un crescente interesse in ambito comunitario per tale settore. L'elaborazione giurisprudenziale riguardante la libera circolazione degli sportivi e l'applicazione del principio di non discriminazione nello sport si è fatta sempre più intensa negli anni: la tendenza al protezionismo, alla ricerca del compromesso ed i primi casi rilevanti sono antecedenti alla “vicenda Bosman”. La circostanza che la sentenza rivoluzionaria riguardasse un calciatore ha fatto sì che il tema in esame, ovviamente, trovi maggior dispiego nell'analisi relativa alle regolamentazioni previste nel calcio, tuttavia, come si vedrà, anche altri sport, per così dire minori, hanno affrontato e stanno affrontando una vera e propria battaglia al fine del riconoscimento dell'importanza dello sviluppo dello sport giovanile quale via per la sopravvivenza dell'intero sistema; infatti, la maggior parte degli sport cosiddetti minori basano la propria crescita a livello nazionale sull'investimento nei vivai e sulla formazione, nell'ottica di un movimento nazionale sempre più competitivo anche a livello comunitario.
Si è passati così, ad esempio, dalle limitazioni basate sulla nazionalità, e di conseguenza palesemente in contrasto con il diritto comunitario, a specifiche condizioni legate alla formazione dell'atleta indipendentemente dalla propria nazionalità, sicuramente più tollerabili a livello europeo. Nella fattispecie ho analizzato quelle che sono le misure adottate da diversi attori nazionali ed internazionali (leghe, federazioni) per conciliare l'obiettivo dichiarato di tutela dei vivai con il rispetto dei principi di libera circolazione e non discriminazione in ambito comunitario. Ho preso in esame, oltre al calcio, sport quali il basket, la pallavolo ed il rugby, per analizzare in profondità quale sia il rapporto tra la salvaguardia dei vivai nazionali e i principi comunitari più volte richiamati: l'intento è quello di esaminare quali sono le proposte e le strategie avanzate da altri sport nei quali la tutela dei settori giovanili rappresenta, sicuramente più che nel calcio, il motore dell'esistenza di molte società.
Come conclusione logica del percorso, la parte finale della tesi è dedicata alle evoluzioni recenti nel rapporto tra sport e diritto comunitario: oggetto principale del mio studio sono la “home grown players rule” adottata dalla UEFA a partire dal 2008 e la proposta del “6+5”formulata dalla FIFA. La “home grown players rule” è argomento di stretta attualità ed interesse, anche personale, che potrebbe portare ad una svolta nell'applicazione dei principi comunitari in questione in ambito sportivo: tale proposta della UEFA riguarda la possibilità, per ciascun club partecipante alle competizioni europee, di inserire un numero massimo di 25 calciatori, di cui almeno 8 dovranno essere calciatori di formazione nazionale, nella cosiddetta “lista A”, da consegnare prima dell'inizio delle suddette competizioni. Inoltre, tra gli 8 atleti di formazione nazionale, 4 di essi devono essere stati formati nel vivaio del club, mentre gli altri 4 possono provenire anche da altri vivai della stessa Federazione.
Nella Risoluzione relativa ai contenuti del Libro Bianco sullo Sport (2008) tale regolamentazione UEFA viene definita come proporzionata e “meno discriminatoria” rispetto alla “6+5” FIFA, dichiarata in aperto contrasto con la normativa comunitaria. Tuttavia, la “home grown players rule” porterebbe ad un risultato discriminatorio nella parte in cui richiede che 8 calciatori, iscritti nella “lista A” per la partecipazione alle competizioni europee, debbano essere calciatori di “formazione nazionale”, provenienti dal vivaio dello stesso club o formati presso la Federazione cui il club in questione è affiliato; infatti il principio comunitario di parità di trattamento vieta qualsiasi discriminazione dissimulata non inerente la nazionalità che, pur basandosi su altri criteri apparentemente neutrali produca lo stesso effetto discriminatorio. La norma in esame, in effetti, non fa riferimento diretto alla nazionalità dell'atleta, ma propone un criterio che porterebbe inevitabilmente e potenzialmente ad un effetto discriminatorio evidente, favorendo i calciatori aventi la nazionalità del Paese all'interno del quale il club è stabilito.
Tali considerazioni sugli effetti potenzialmente discriminatori nascono, in primis, dall'analisi della definizione di “locally trained players” fornita dalla UEFA stessa. Quest'ultima definisce, infatti, giocatore di formazione nazionale l'atleta che, a prescindere dalla nazionalità e dall'età, in età compresa tra i 15 e i 21 anni è stato tesserato con il club (partecipante alla competizione UEFA designata) per un periodo, continuativo o meno, pari a 3 stagioni intere, ovvero per un periodo di 36 mesi; in seconda battuta, rientra nella definizione l'atleta che, indipendentemente dalla nazionalità e dall'età, tra i 15 e i 21 anni è stato tesserato con una società appartenente alla medesima Federazione del club (partecipante alla competizione UEFA designata) per un periodo pari a 3 stagioni intere o a 36 mesi.
Secondo le istituzioni comunitarie risulta assai più probabile che i settori giovanili siano costituiti da atleti aventi la stessa nazionalità della società che si occupa della loro formazione. Lo scopo effettivo della norma è sicuramente degno di attenzione e tutela ed è per questo motivo che l'atteggiamento delle istituzioni comunitarie verso la UEFA è apparso sicuramente più conciliante, tuttavia, a mio parere, la tutela dei vivai potrebbe essere realizzata percorrendo altre vie che prevedano incentivi per gli investimenti nel settore giovanile, sgravi fiscali, sostegno allo sport giovanile, ecc.
Per quanto riguarda, invece, la regola del “6+5” proposta dalla FIFA, essa prevede che in ogni competizione ufficiale il club sia tenuto a schierare un minimo di 6 calciatori aventi la medesima nazionalità del sodalizio, non ponendo, invece, alcuna limitazione al numero di giocatori tesserabili. Tale proposta richiama indubbiamente alla mente il regolamento impugnato, ormai più di trenta anni fa, da Bosman, tuttavia sembra differire da quest'ultimo per il numero di stranieri (quindi anche cittadini comunitari) che il club potrebbe schierare nelle competizioni ufficiali.
Il tema trattato e le normative in esame delineano una situazione più che mai attuale ed in continua evoluzione, ed è proprio questo uno dei motivi per cui ho scelto di trattare tale argomento nella tesi: alcune proposte o risoluzioni hanno trovato formulazione ed efficacia nel periodo in cui ho svolto questo lavoro o appena dopo (ad esempio la “sentenza Bernard” o l'intenzione di Blatter di proporre la formula, nuovamente giudicata illegittima a livello comunitario, del “9+9”).
A conclusione del lavoro svolto ho espresso un mio pensiero in materia, basato sullo studio effettuato nello svolgimento della tesi e sulla competenza (percorso accademico) e la passione che nutro da sempre per lo sport. In particolare, con riferimento alla situazione italiana, una buona proposta sarebbe quella di abolire il campionato Primavera per istituire un campionato riserve simile a quello inglese o una “squadra B” come usa in Spagna, in modo che i giovani si presentino più preparati al palcoscenico professionistico della prima squadra: nel breve periodo i costi aumenterebbero inesorabilmente, ma nel lungo periodo crescerebbero i benefici, di natura economica e tecnica. Inoltre, indipendentemente da tutte le proposte e le nuove idee in merito, è evidente come un ruolo importante sia giocato dalla mentalità italiana: nel nostro campionato un giocatore di 24-25 anni è considerato un giovane di belle speranze, mentre in Spagna, Inghilterra o Germania i cosiddetti “giovani di belle speranze” hanno 18–19 anni. Questione di mentalità che non riguarda solo lo sport probabilmente.
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