La democrazia si basa sulla libertà, che consiste anche nella possibilità di governare e di essere governati “a turno”. Da questa considerazione di Aristotele prende le mosse la proposta dello scrittore David Van Reybrouck, senza dubbio originale e non priva di una certa dose di provocazione: la causa della crisi della democrazia è da attribuire al sistema elettorale. La sopravvalutazione delle elezioni, il considerarle una sorta di sinonimo della democrazia, l’unico modo mediante il quale questa può essere esercitata, ha indotto – è questa la tesi di Van Reybrouck – la cittadinanza ad astenersi da una partecipazione attiva alla vita pubblica, che ha demandato a questa mansione i propri rappresentanti.
Per sgombrare il campo da equivoci, l’autore del saggio “Contro le elezioni” afferma con decisione di non essere un sostenitore delle dittature, né di destra né di sinistra, e di non condividere le recenti tesi populiste che considerano, in maniera troppo semplicistica, la classe politica la causa di tutti i mali: è questa la tecnica adottata “da Silvio Berlusconi a Geert Wilders e Marine Le Pen ai nuovi arrivati Nigel Farage o Beppe Grillo”. Dall’altra parte, ci sono i “tecnocrati” che, come per esempio in Cina, criticano la democrazia e antepongono l’efficienza alla legittimità. Ancora, c’è chi avversa la democrazia rappresentativa, come Occupy e gli Indignados.
Van Reybrouck propone invece una tesi alternativa: il nocciolo della questione è da individuare nella “pigrizia di ridurre tutto al voto”. “Le elezioni – afferma lo scrittore – sono il combustibile fossile della politica: un tempo erano in grado di stimolare la democrazia, ma ora provocano problemi giganteschi”, e cita a sostegno della sua tesi l’esempio della rivolta egiziana, che ha portato le elezioni “ma non una democrazia accettabile”.
La proposta: sorteggiare i rappresentanti. Esperimenti di estrazione a sorte negli ultimi anni sono stati condotti in diverse parti del mondo, dalla provincia canadese della British Columbia all’Islanda al Texas. In Irlanda si è appena conclusa la Convenzione costituzionale, alla quale hanno collaborato per un anno 66 cittadini tirati a sorte e 33 eletti, con buoni risultati.
Il sistema proposto sarebbe in realtà un ibrido: una parte dei rappresentanza – per esempio premier e ministri – viene votata e un’altra – i parlamentari – estratta a sorte tra una lista di persone precedentemente iscritte che devono possedere alcuni requisiti: per l’economia, per esempio, chi ha una ditta con almeno 50 dipendenti ed è in possesso di esperienza e determinate competenze. Dopo uno screening da parte di una commissione appositamente istituita, gli estratti possono essere insediati. Insomma, una “modernizzazione della democrazia” che, secondo lo scrittore, potrebbe funzionare in Europa e in particolare in Italia, in cui sono state già sperimentate situazioni di questo tipo, come a Firenze e durante la Repubblica di Venezia.
Alla domanda su quali competenze possano avere cittadini chiamati a deliberare per estrazione a sorte, Van Reybrouck ha risposto in una intervista: “E perché, quale competenza hanno oggi la maggior parte dei deputati nei nostri Parlamenti? I migliori di loro usano la legittimità offerta dallo status di eletti per chiedere informazioni e consigli agli esperti, e infine decidere a ragion veduta. Niente che non potrebbe fare una persona tirata a sorte. Con il vantaggio fondamentale che i cittadini tirati a sorte sarebbero forse più inclini a dare priorità al bene comune, e non alla propria rielezione”.
La proposta di Van Reybrouck, per quanto ingenua possa suonare, deriva sicuramente da buone intenzioni e non è priva di aspetti interessanti: è stata studiata per fornire una spinta di innovazione e motivazione e per coinvolgere e riavvicinare la classe politica e i cittadini, che in questo modo verrebbero chiamati in causa in prima persona. Potrebbe inoltre contribuire effettivamente ad arginare il problema della corruzione e del clientelismo. Dall’altra parte, non siamo troppo convinti che persone totalmente estranee al mondo della politica e senza la minima preparazione possano riuscire a svolgere adeguatamente i propri compiti: abbiamo già numerosi esempi, sia di personalità di spicco in ambito accademico, dirigenziale o imprenditoriale, sia di cittadini senza qualifiche specifiche che come politici “improvvisati” non sono risultati – o non risultano – all’altezza. In un sistema, rappresentativo o deliberativo che sia, la cosa migliore sarebbe poter vantare una classe politica competente, professionale e “consapevole”.
Condividiamo l’accento dato alla questione della responsabilità, che non può essere attribuita esclusivamente alla classe politica – che certamente ha le sue, gravi, colpe – ma a tutti i membri che compongono una società. Se un Paese – e questo è vero in particolare in una democrazia elettiva – ha il governo che si merita, è anche vero che l’allontanamento del popolo dalla cosa pubblica è insieme frutto e causa dell’inefficienza della politica; si tratta di un circolo vizioso che va interrotto, e per ottenere ciò non basterà certo attendere una soluzione che piova “dall’alto”, ma è necessario l’impegno da parte di tutti.
Marco Cecchini