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La Libertà perde Casa

Creato il 21 luglio 2010 da Pierotieni

La Libertà perde Casa

Molti si chiedevano come mai il Sultanino cambiasse spesso nome alla ditta, nonostante le fondamenta restino immutate da più di tre lustri. Sì, insomma, in principio fu il Polo delle libertà che poi divenne la Casa delle libertà. Infine dall’alto del predellino della sua fuoriserie, avvinghiato alla futura ministra Brambilla, nonché ex subrette televisiva, a pochi passi dal luogo i cui alcuni mesi dopo gli sarebbe calata in faccia la miniatura del duomo, il Cesarone ci annunciò il mitico passaggio al Popolo delle libertà. Qualcuno si chiese, dato che il popolo c’era sempre stato, come mai gli fosse stata tolta la casa. Era un segno premonitore.   Una risposta è ora arrivata dalla cronaca locale del Giornale di Vimercate. Apprendiamo infatti che l’ex aennino coordinatore cittadino delle libertà, immortalato in un bel maglioncino nero (è già qualcosa aver tolto la camicia…), ha riempito gli scatoloni, ha fatto fagotto ed ha chiuso la baracca, cioè la sede locale, cioè la Casa. Il problema è quello che molti amministratori azzurri (perché ci sono anche quelli neri e quelli verdi) non cacciano un euro. Cioè, magari s’impegnano (senza successo) a non mettere le mani in tasca agli italiani, però non calano la manina nemmeno nel proprio taschino per pagare l’affitto della sede. E ogni volta il povero ex alleato nazionale è costretto a fare il giro delle sette stanze assessorili per elemosinare la pecunia mancante. La goccia che pare abbia fatto traboccare  e mandato in pezzi il vaso (delle libertà) è stato un assessore che, stanco di accampare le solite scuse (ho lavato il portafoglio insieme ai pantaloni, lo sportello mi ha mangiato il bancomat perché ho sbagliato il codice, ho investito il compenso in loculo nel mausoleo del piccolo imperatore) ha detto chiaro e tondo che lui non scuce più un centesimo. I 1.200 euro mensili (circa) del compenso per il durissimo lavoro di assessore li terrà d’ora in poi per se e per i suoi cari. Il coordinatore a quel punto ha pensato che c’erano due possibilità: o attrezzarsi a cuocere e servire salamele e costine nell’area feste, come fanno quelli del Pd per pagarsi le spese di un anno di attività politica, o appendere le chiavi al chiodo e dichiarare fallimento (delle libertà). Per un attimo si è pure immaginato tutto sudato e infumacchiato dietro ai fornelli delle libertà ma poi, levando lo sguardo verso l’immensa tenuta principesca di Villa San Martino, avrà pensato che non si può: a Silvio le gioie dei festini e a loro le fatiche della festa. Non è giusto.

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