
ci si scopre così ad assistere alla giornata di un semplice taglialegna, dalle prime ore del mattino fino all'arrivo dell'oscurità. Il primo film di Lisandro Alonso, "La Libertad" è un'opera rudimentale, interessata ai singoli gesti quotidiani, che non vuole riflettere altro che se stessa e il suo protagonista: un uomo cullato dal grembo della natura, prigioniero di un'esistenza che si svolge sempre uguale, identica a se stessa, sempre già vissuta. Eppure, intorno a metà film, la telecamera si stacca dal pedinamento ossessivo del suo personaggio, per aprirsi a una soggettiva tra alberi secchi illuminati dalla luce solare. Sembra quasi un sogno in cui il protagonista è libero di vedere senza esser visto (la libertad del titolo), di esplorare piante e alberi con uno sguardo assai più lenticolare. Poi ritorna di nuovo a un mondo fatto di gesti ripetuti, azioni reiterate, albe e tramonti che si susseguono per l'eternità. Dalle immagini, neutrissime e distanti, emerge un senso di totale indifferenza della natura (e del film stesso): esempio perfetto di un'opera che ci manca, del disperato e vano tentativo di cercarla, di legittimarla, di fermarla, di oggettivarla. Eppure, tragicamente, l'esistenza scorre davanti ai nostri occhi assopiti e incantati (e cosa c'è di più tragico e umiliante di qualcosa che scorre dimentica di noi, nonostante siamo proprio noi a vederla?): più del film è interessante ciò che parte dal film (il nostro pensiero che aleggia tra le piante e i tempi morti di inquadrature lunghe, che non portano da nessuna parte, ma si perdono tra i suoni eterni della natura).