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La lingua usata negli oracoli

Creato il 20 febbraio 2011 da Elton77

 

Un chiaro indizio sul carattere barbarico della lingua usata negli antichissimi oracoli della Grecia viene fornito da Erodoto nel suo libro Urania, VIII 133-136.

robert d'angely 1893-1966

Robert d’Angely 1893 - 1966

Dopo la battaglia di Salamina, in cui i Persiani furono sconfitti, il loro generale Mardonio si fermò, per passare l’inverno, in Tessaglia, da dove in seguito avrebbe ripreso l'offensiva contro i Greci. Mardonio aveva intenzione di consultare gli oracoli della Grecia, per sapere se i suoi piani e le sue aspettative sarebbero andate a buon fine; di ciò incaricò un uomo che si chiamava Mυς (Mys), originario della Caria (Asia Minore). Mυς, insieme ad altre profezie, consultò anche l’oracolo di Apollo, che era situato sul monte Ptoon in Beozia, vicino al lago di Kopais, nel territorio dei Tebani. Si fece accompagnare da tre cittadini tebani che avrebbero dovuto trascrivere sulle apposite tavole il testo dell’oracolo. Però, secondo Erodoto, quando entrarono nel luogo sacro, la grande profetessa cominciò ad esprimere le sue previsioni in una lingua barbara, cioè pelasgica. I tre Tebani rimasero sorpresi, perché si aspettavano di sentir parlare la lingua greca; invece Mυς, il quale capiva perfettamente l’idioma che stava parlando Pitia*, prese dalle mani dei Tebani le tavole e iniziò lui stesso a trascrivere il discorso della sacerdotessa, precisando che ella stava adoperando il gergo pelasgico della Caria.

La copertina del libro, versione francese

La copertina del libro, versione francese

Erodoto, che riferisce questo episodio, si mostra sorpreso per l’accaduto. Ma noi** no. Anche se analizziamo i fatti ad una distanza di più di duemila anni, crediamo di conoscere bene lo stato sociale dell’epoca della quale parla Erodoto, e non siamo per niente sorpresi. Si sa che l’arte degli oracoli viene attribuita ai Pelasgi della Grecia, dell’Asia Minore, dell’Italia ecc. Oltre a questo, non ci sarebbe niente di straordinario se le sacerdotesse e tutti gli addetti a quei templi, avendo origini pelasgiche, avessero parlato la propria lingua nativa; inoltre, il linguaggio pelasgico era in uso presso tutta la popolazione locale, ad eccezione di una piccola élite. Ma la cosa curiosa e interessante, dal nostro punto di vista, è che l’aneddoto qui sopra riportato ci dà la prova che le cosiddette lingue barbare come il cariano, la lingua licia, il frigio ecc, erano dialetti della lingua pelasgica, che si discostavano poco da essa.

Un'altra considerazione importante che noi possiamo fare è che Erodoto considera i Pelasgi un popolo diverso dagli Elleni, in quanto i primi non hanno avuto mai contatti con i secondi: ormai è provato che questi ultimi evitavano ogni tipo di interazione con le altre popolazioni. Dionigi d'Alicarnasso, uno storico più recente di Erodoto, ci descrive però i Pelasgi senza ombra di dubbio come i “bisnonni” dei Greci che abitavano nel Peloponneso, e degli stessi Romani.

Sia la razza e che la lingua dei Greci sono di origini pelasgiche; ad esempio, la parola βαρβαρ-ος (Bar-Bar-os) e il verbo che da essa trae origine, Βαρβαριζειν (Barbarizein), derivano dalla lingua pelasgica. Infatti, riferendoci all’idioma pelasgico attuale, e cioè l’albanese, possiamo dare due spiegazioni etimologicamente perfette di questi vocaboli che hanno la stessa radice. La prima deriva dal termine logorrea, che in albanese si traduce con flet bërbër, si bythë e turtullit; la seconda spiegazione, invece, è legata alla distorsione delle parole, al non darne l’esatto significato, pronunciandole in maniera sbagliata come un balbuziente o un bambino piccolo. In albanese abbiamo la frase: flet belbër si foshnjat (parla male, come un bimbo). In tutti e due i casi (flet bërbër e flet belbër), la lingua diventa incomprensibile anche per un Albanese. La stessa cosa è successa con gli antichi Greci, i quali parlavano tutti il pelasgico, ma per comunicare con gli stranieri (non pelasgi) crearono la lingua liturgica greca; così, dalla parola pelasgica onomatopeica bër bër, crearono il termine βαρβαρ-ος (Bar-Bar-os). Questa parola era usata dagli antichi per identificare sia coloro che adoperavano una parlata diversa dal greco (gli stranieri), sia coloro che erano Elleni ma che storpiavano e parlavano male la loro stessa lingua, oppure parlavano velocemente, rendendo così incomprensibile il senso dei loro discorsi. In conclusione, la parola βαρβαρος (Barbaros) veniva usata dagli Elleni solo per identificare la lingua e non la razza di qualcuno, cosicché i Pelasgi erano considerati, ad eccezione di coloro che parlavano e scrivevano in greco, barbari, allo stesso modo degli altri stranieri che non capivano la lingua greca. Invece, coloro che sapevano leggere e scrivere il greco, erano considerati Elleni.

* La Pizia, o Pitia, era la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo.

** Con noi è sottinteso l’autore di questo testo. Nel testo originale si fa uso del plurale maiestatis.

Liberamente tratto dal libro Enigma dell’autore Robert d’Angely


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