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La liturgia ateista di Andy Thomson

Creato il 15 ottobre 2011 da Uccronline

La liturgia ateista di Andy Thomson
di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

Tra i tanti interessanti commenti al mio ultimo articolo su Corrado Augias, ce n’è stato uno che consigliava la visione di un paio di filmati reperibili su internet. Guarda il caso: uno di questi lo avevo già scaricato, e contavo di scriverci su qualcosa – prima o poi. Bene, forse è arrivato il momento.

Il video in questione è la registrazione di una conferenza (“Why We Believe in Gods”) tenuta dallo psichiatra J. Anderson (Andy) Thomson al 35° congresso annuale degli “American Atheists”, svoltosi ad Atlanta nell’aprile 2009. Devo dire, per la verità, che ho trovato assolutamente illuminanti sia il discorso di Thomson, sia le sue risposte alle domande dal pubblico.

La conferenza si apre con alcune definizioni: in particolare, con l’affermazione che la mente è ciò che il cervello fa, e che essa si è evoluta come una raccolta integrata di soluzioni ingegneristiche atte a risolvere specifici problemi. Partendo da questo suo assioma indiscutibile, Thomson si propone di “smontare” il funzionamento del pensiero religioso, visto come un semplice effetto collaterale, indesiderato, di meccanismi cognitivi utili nelle interazioni sociali.

A scanso di equivoci, specifico subito che non intendo criticare gli studi scientifici che riguardano tali meccanismi cognitivi: è innegabile che essi esistano e che possano avere un ruolo non trascurabile nell’esperienza religiosa umana. È d’altra parte perfettamente chiaro a tutti – compreso sicuramente lo stesso Thomson – che nessuna ricerca scientifica può avere, in sé e per sé, qualcosa da dire sull’esistenza o inesistenza di Dio. Quello che mi preme sottolineare e criticare, invece, è il tentativo di dimostrare che l’esperienza religiosa sia riducibile nella sua interezza a meri meccanismi istintivi, e che in nessun caso possa riguardare la sfera della razionalità; in altre parole, che la fede sia necessariamente una faccenda da stolti.

Penso però che, a ben vedere, un tentativo del genere sia destinato al fallimento proprio sul piano della logica. Tanto per dirne una, ad un certo punto Thomson enuncia, tra i processi mentali alla base del pensiero religioso, la cognizione disaccoppiata. Per intendersi, si tratta della capacità che abbiamo tutti di prefigurarci un dialogo – completo di domande e risposte – con una persona assente. “Da qui a comunicare con gli antenati defunti – chiosa Thomson – il passo è breve”. Ecco stabilito un assioma indiscutibile: “Il pensiero religioso nasce da processi mentali scollati dal mondo concreto”. A corollario di ciò, dopo pochi minuti il relatore arriva ad affermare che ogni aspetto della sfera religiosa è una deformazione della realtà, con proprietà fisiche contro-intuitive (“Dio è un tizio, ma è dappertutto”), biologia contro-intuitiva (“Gesù è nato da una vergine”), psicologia contro-intuitiva (“Dio è capace di entrare nella tua testa”).

Parrebbe proprio che Thomson stia cercando di suggerire che “contro-intuitivo” sia sinonimo di irrazionale, di antiscientifico e, in definitiva, di falso. Eppure, da bravo scienziato egli dovrebbe sapere bene che non c’è alcuna consequenzialità logica tra contro-intuitività e falsità. Basterebbe notare che la fisica è praticamente tutta contro-intuitiva: perfino quella newtoniana (“Chi arriva prima a terra, il sasso o la foglia? Ovvio, il sasso. Ma se non ci fosse l’aria? …”). Per non parlare della meccanica quantistica! Insomma, lo psichiatra sembra aver dimenticato che la realtà non si conforma necessariamente alla nostra interpretazione intuitiva del mondo.

Più avanti, Thomson presenta i risultati di una ricerca scientifica che mostra come in individui diversi si attivino sempre le stesse aree del cervello, in risposta all’ascolto di frasi a carattere religioso. Secondo il conferenziere, “questo studio va a sostegno delle teorie che fondano il credo religioso su meccanismi adattati evolutivamente”. Il concetto sottinteso è, di nuovo, che il pensiero religioso è irrazionale – essendo, per l’appunto, un costrutto mentale derivante da risposte puramente istintive. Attenzione: Thomson si guarda bene dall’affermare qualcosa del tipo: “Bene, questo prova che Dio non esiste”; sa perfettamente che nemmeno l’assemblea degli American Atheists lo accetterebbe. No: si limita a suggerire il concetto che chi crede sia fondamentalmente un idiota, riuscendo allo stesso tempo ad attrarre su di sé un’ondata di simpatia da parte del pubblico degli atei, che intuiscono di essere considerati – per contrasto con i credenti – persone massimamente consapevoli e razionali.

In effetti, questa capacità di suscitare un senso di appartenenza a un’élite permette allo psichiatra di salvarsi da una domanda “pericolosa”. Alla fine della conferenza, infatti, una signora gli chiede: “Se il senso religioso è un insieme di sistemi cognitivi evolutisi identicamente in tutti gli esseri umani, come abbiamo fatto noi non credenti a scavalcarli?”. Thomson risponde, più o meno: “Cultura e intelligenza! Gli individui più colti e intelligenti tendono a non essere religiosi, proprio come lei” (applauso). Peccato che questa affermazione sia, con ogni probabilità, priva di fondamento: prima di tutto perché sono sempre esistiti credenti di elevata intelligenza e cultura (vedere per esempio qui e qui); in secondo luogo, perché essa non spiega in maniera soddisfacente il fenomeno delle conversioni (un caso notevole è quello del filosofo Antony Flew, tra gli atei più famosi del mondo); infine, perché è possibile che essa sia, molto semplicemente, falsa (vedere qui e qui).

Quando alla fine gli pongono un’ultima domanda “pericolosa” (“Non potrebbe essere che Dio abbia creato il cervello, programmandolo come dice la scienza perché credessimo in Lui?”), Thomson se la cava così: “Credo che la risposta migliore la dia Christopher Hitchens”. Insomma, rendendosi conto perfettemente di non poter rispondere in maniera credibile, rimanda a un’autorità assente.

Ecco, questa reazione mi ha chiarito definitivamente le idee. Fateci caso: nel corso della dissertazione, lo psichiatra ha enunciato dei dogmi (gli assiomi indiscutibili di cui sopra); ha creato dei momenti di profonda comunione “spirituale”, in cui ha saputo suscitare nel pubblico la sensazione di far parte di una schiera eletta; ha fatto riferimento a un’autorità assente, quando non è stato in grado di rispondere sensatamente. Insomma: non sembra anche a voi che Thomson, più che tenere una conferenza, abbia in realtà officiato una specie di funzione liturgica secolarizzata?


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