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La lotta alla Casa Bianca: i tre candidati principali

Creato il 17 settembre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Manca poco più di un anno all’8 novembre 2016, data della cinquantottesima tornata elettorale americana. Negli Stati Uniti è d’uso prepararsi ben in anticipo a questo avvenimento, anche per una mania tutta statunitense di voler fare del pop anche quando non si dovrebbe, e tirare il più a lungo possibile la stessa tematica.

Poichè Obama non può ricandidarsi per la terza volta consecutiva a causa del 22esimo emendamento alla Costituzione, si fronteggiano personaggi solo formalmente nuovi. Prima ancora dello svolgimento delle elezioni primarie sia tra i democratici che tra i repubblicani, appare evidente che lo scontro è tripartito.

HILLARY CLINTON

Ovviamente democratica, e ripescata dopo la sconfitta nelle primarie 2007 contro un certo Barack Obama, la moglie di Bill è del tutto intenzionata a fare degli Stati Uniti una Presidenza famigliare. Incurante di essere già stata First Lady, ora vuole essere la prima presidentessa donna nella storia d’America. Poco importa se nel frattempo è già stata Segretario di Stato sino al 2012, sotto Obama: la Clinton vuole imporre la propria figura di donna forte verso le folle americane, e vincere con la buona vecchia minestra riscaldata pseudo-liberal.

Non è, nè fu, contro la guerra in Iraq, né ebbe mai da dire contro il controverso Patriot Act, però tutto sommato non disdegna un maggiore controllo sulle armi.

La sua posizione sui diritti civili solo recentemente ha mutato positivamente opinione: sui diritti degli omosessuali, e sulle loro figure, non ebbe mai da dire bene se non nell’ultimo periodo.

Cannabis legale? Neanche a parlarne, così come sarebbe meglio non nominare mai in presenza di Hillary il nome di Edward Snowden, il famoso personaggio che fece uscire tutta una serie di informazioni classificate su wikileaks.

La Clinton non si oppone ad un controllo maggiore su internet, che in America è sempre rappresentato da questo SOPA (“Stop Online Piracy Act”), provvedimento che compare e scompare e ricompare a intervalli più o meno regolari (di solito per qualche strana ragione collegati alla diffusione di materiale sensibile o riservato in giro per il web). Non è neppure contro la pena di morte, e non disdegna (votò infatti a favore nel 2006) la lunga recinzione che tiene fuori quei maledetti immigranti illegali dal Messico.

Insomma, per essere una Democratica sui diritti civili e sociali c’è un po’ di lavoro da fare, e non è del tutto falso lo stereotipo di “Bush 2.0” che qualche oppositore le calza addosso.

Il suo sito, https://www.hillaryclinton.com/, è semplice: unica pagina con menu. A prova di stupido. E al centro campeggia la possibilità di unirsi alle schiere di Clintoniani, con un bel pulsantone blu “Unisciti a noi” che non può essere frainteso neppure dall’ignorante casalinga del mid-west. Poca forma, poca sostanza.

DONALD TRUMP

Se le elezioni americane fossero un meme su internet, e lo sono, Donald Trump sarebbe sicuramente, e lo è, definito un troll.

Repubblicano DOC, figlio d’arte che vuole passare per l’uomo che si è fatto da solo (spoiler: non è così: è già nato miliardario), amministratore delegato e presidente della Trump Organization, ha sempre fatto di se stesso il principale veicolo del guadagnare, grazie alla sua estrosità e al suo personaggio immediatamente riconoscibile. Trump incarna il Capitalismo con la “C” maiuscola: forse eccessivo e criticabile per noi europei, in realtà virtù indiscussa per gli americani. Il piccolo Donald inizia col padre, fa l’imprenditore immobiliare e con i soldi pregressi punta in alto: a costruire edifici a Manhattan. Ci riesce, e il suo sito principale, http://www.trump.com/, non fa altro che glorificare la sua imprenditorialità. Per completare il lavaggio del cervello, l’elettore americano deve fare un salto su https://www.donaldjtrump.com/, sito creato ad hoc per la sua campagna elettorale. Colori sgargianti, tipici del partito Repubblicano, e faccione in primo piano. Qua oltre all’”unisciti a noi” c’è anche il pulsante “dona” subito di fianco, perchè i soldi non bastano mai.

Photocredit: Wikipedia, Gage Skidmore, CC BY-SA 3.0, uploadata da Centpacrr

Photocredit: Wikipedia, Gage Skidmore, CC BY-SA 3.0, uploadata da Centpacrr

Capire con precisione le idee di Trump è abbastanza difficile. Egli infatti non è un vero uomo politico, quanto un imprenditore, un capitalista. In qualche misura simile al nostro Berlusconi, ma senza la sensibilità europea innata, fa leva sulle rimostranze basse anche di chi dovrebbe per una mera questione di interessi personali votare dall’altra parte: l’economia va male perchè la Cina ruba il lavoro e si importa troppo da lì (“China has our jobs. And Mexico has our jobs. They all have our jobs.”); il flusso migratorio va fermato perchè crea illegalità e previene l’occupazione degli americani, addirittura erigendo un muro (“I will have Mexico pay for that wall. Mark my words”, disse ad un convegno); l’Obamacare e in generale l’assistenza sanitaria statale è una idiozia che grava inutilmente sui fondi dello stato e – Dio ce ne scampi – è un esempio di socialismo applicato.

Il ritorno della paura del comunismo/socialismo è un altro leitmotif della campagna di Trump: l’attualità di una simile posizione lascia molto a desiderare, ma sembra fare una certa presa sul repubblicano medio.

A proposito di paura, Trump non si fa problemi a guerreggiare: l’ISIS è il suo più grande nemico, come del resto tutta quella zona arida del mondo in cui le madri non partoriscono bambini ma pericolosi terroristi.
Trump ha una forma eccezionale che si adatta perfettamente all’egoismo capitalista/americano, e non è un caso se è primo nei sondaggi tra i candidati repubblicani. E’ figura rispettata nell’ambiente imprenditoriale e ha il potere del denaro dalla sua. E’ un imprenditore però, e non un politico. Le sue idee sembrano a noi osservatori europei completamente scollegate dal mondo: la sostanza lascia molto a desiderare.

BERNIE SANDERS

Ogni tornata elettorale contiene in sé la Novità. La Novità questo giro è rappresentata da Bernie Sanders, democratico sui generis, idolo dell’internet, vecchietto stempiato con idee hippie e finalmente progressiste.

Il suo sito, https://berniesanders.com/, è fatto per essere visualizzato meglio da dispositivi mobili che da computer: una scelta tattica che fa in modo di accalappiarsi la maggior quantità di potenziali votanti. Faccione in primo piano e

classicissimo pulsantone “unisciti a noi”. Spostata ai bordi dello schermo la possibilità di “contribuire”, anziché “donare”: un sinonimo, ma una scelta lessicale ben precisa che mira a coinvolgere il privato votante nel pubblico interesse.

Questo arzillo signore si è sempre macchiato di una certa coerenza: nasce come oppositore della guerra in vietnam, e da decine d’anni sostiene le battaglie sui diritti civili; si adopera per posizioni semi-socialiste; è stato contro l’intervento militare in Iraq ed è contro la pena di morte, tanto per fare qualche esempio.

Oggi vuole fare il terzo incomodo in quella che pareva fino a qualche tempo fa essere una lotta a due ancor prima delle primarie, e ci sta riuscendo.

Attraverso un meccanismo di generazione dei consensi molto più basato sul contatto fisico che sulla propaganda, Bernie Sanders indice conferenze, parla con gli uditori, fa interviste aperte al pubblico su internet. Sfrutta di fatto tutti gli strumenti moderni ma mantenendo un contatto diretto tipico del passato, e i risultati sembrano dargli ragione.

Dal punto di vista ideologico, egli si batte per i diritti civili e la parità di genere (in particolare in riguardo all’eguale trattamento economico sul posto di lavoro); difende l’aborto in un’America conservatrice e religiosa; vorrebbe un’estensione statale dell’Obamacare che avvicinerebbe il sistema della sanità americana a quello europeo. Nell’ultimo periodo ha mostrato con forza la sua decisione di aumentare il salario minimo da 7 dollari all’ora a ben 15, nel tentativo di risollevare l’economia provando a dare maggior potere d’acquisto alle fasce più deboli. Si è più volte schierato contro l’eccessiva sorveglianza a cui sono sottoposti gli americani, e desidera riformare la previdenza sociale.

In un impeto di follia, si è perfino definito “socialista”, esplicitamente.

Anche Sanders, nato e cresciuto negli Stati Uniti del Pop, non è certo uno sprovveduto: la sua campagna elettorale miete consensi nelle nuove generazioni, negli ambienti più “colti” e all’estero, un po’ come aveva fatto Obama durante la sua prima scalata alla presidenza. In questo caso la forma c’è, e anche la sostanza, che comunque può essere legittimamente criticata, sembra solida.

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