A dispetto del mio realismo pratico, credo che Nulla succeda per caso. Se ho saputo di questo libro, l’ho comprato e l’ho letto, è perché un fantomatico Qualcosa o Qualcuno vuol farmi continuare a ragionare sull’Arte – che non ho studiato ma che mi incuriosisce e che è il tema del romanzo che sto revisionando in queste settimane.
Definirei “La luce che cade di rado” un romanzo meta-artistico. La Saracino tratta dell’arte senza pietà, raccontando le vicende che si snodano attorno al reality Art Marathon: spettacolarizzazione e stravolgimento di emozioni e sentimenti, recite e drammi sono portati avanti su due piani, dentro il tubo catodico e fuori.
Nel reality c’è Thomas, che si è presentato per l’arte fotografica.
Fuori c’è Asia, sua sorella, malata (di cosa dovete scoprirlo voi), ed Emma, gemella di Asia, autistica. Ma fuori ci sono anche Thomas, che si innamora di Asia nonostante la sua fissazione, e Lorenzo, il padre di Thomas, bersaglio dell’innamoramento di Asia e titubante tra la famiglia e la fragilità della ragazza.
E’ un romanzo che più attuale non si può; ma non si può pretendere – anche se mi piacerebbe – che le vittime dei reality (quelle che sono dentro la TV e quelle che la TV la guardano) possano capire la profondità delle critiche che la Saracino, indirettamente (si tratta pur sempre di un romanzo) lancia alla spettacolarizzazione delle emozioni e dell’arte.
E’ un romanzo realista e, nonostante la mia predilezione per i finali sereni, riconosco che l’happy end qua proprio non ci stava, sarebbe stato un’incongruenza con l’impianto generale del libro e col titolo: la luce giusta cade di rado.
Ho la faccia e il corpo giusti per non destare turbamenti, a parte il diverso colore delle iridi, ma ci vuole la luce giusta per accorgersene, e la luce giusta cade di rado.
Accanto a questa frase ho segnato a matita: grande verità.
Non cogliamo quasi mai le sfumature degli altri. Aggiungerei: non capiamo neanche le nostre, di sfumature; viviamo dietro le etichette che ci attaccano addosso, camminiamo con gli occhi coperti di queste etichette. Come potremmo accorgerci degli altri? Però ce le teniamo, le etichette, perché strapparle via farebbe male: sono pur sempre un’attribuzione di valore, anche se basso.
Significano che qualcuno si è preso la briga di affibbiarci un prezzo e di metterci sullo scaffale.
Purtroppo anche molta arte contemporanea vive di etichette.
Ma sto divagando…