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La macchina dell'ipocrisia

Da Barbaragreggio
La macchina dell'ipocrisia
Il limite della decenza è un vecchio cliché, superato. Il senso del pudore, un tempo comune, ora è soggettiva rappresentazione della realtà. Quasi un anno fa una trasmissione televisiva del pomeriggio arruolava pubblico per piangere in diretta Pietro Taricone, quando ancora non era morto. I mesi successivi sono stati segnati dalla scomparsa di Sarah Scazzi, quindicenne di Avetrana, ritrovata morta nel fondo bagnato di una cisterna in aperta campagna, uccisa da mani famigliari. Poi è stata la volta di Yara Gambirasio, dei suoi 13 anni sezionati in mille commenti, ricomposti a fatica nel dolore silenzioso della famiglia.  Abbiamo letto i diari di Sarah, ascoltato la voce incerta dello zio reo confesso, che ha ritrattato, ri-confessato e ri-ritrattato come se la sua parte fosse stata scritta da uno sceneggiatore alle prime armi che taglia e allunga, diluisce e concentra a seconda della curva dell'audience della puntata pilota.  Morta Sarah è scomparsa Yara, e la televisione ha tirato un sospiro di sollievo, il pubblico affezionato a criminolgi e periti di parte aveva un altro boccone succulento da masticare, piano, ora dopo ora, trasmissione dopo trasmissione.  Avetrana e Brembate sono state lo scenario perfetto per la macchina dell'ipocrisia. La prima sul mare, nel tacco profondo e sottile di un'Italia sempre più alla deriva, l'altra nel cuore del nord operaio, produttivo, sicuro e pulito. Agli antipodi e perciò complementari. Perché il male sta dappertutto, e la giustizia trionfa sempre. No, non sempre. Di Sarah si sa che è morta strangolata, ma su chi le abbia messo il cappio al collo non si ha ancora certezza. Yara è un mistero opaco e sbiadito, una crepa nel sistema delle indagini, una falla nel meccanismo della protezione civile.  Chissenefrega delle loro vite sospese, del futuro che non vivranno, del freddo che le ha inghiottite! Bisogna guardarle negli occhi, entrare nella staticità delle loro foto, rubate chissà dove, offerte chissà da chi, a quale prezzo. Guardiamole, allora, queste due ragazze. Cerchiamo punti in comune, l'assonanza dei loro nomi, la tragicità della loro fine, il dolore composto e tanto diverso delle loro famiglie. Scandagliamo le loro infanzie, alla ricerca di qualcosa che non troveremo. In fondo c'è il diritto di cronaca, no? No! Non c'è diritto di cronaca nello spiare un sorriso privato, o il lucicchio di un cerchio che vola alto o il colore di un vestito a festa. Siamo obiettivi, smettiamola di dire che bisgona sapere, che ne abbiamo il diritto, che l'Italia tutta deve conoscere il volto degli assassini! La giustizia sola e le famiglie devastate dal dolore devono sapere, noi non abbiamo alcun diritto in queste storie, solo colpe e vergogna. La componente consolatoria del "è successo a loro e non a me" non giustifica l'accanimento morboso nel cercare dettagli che non ci riguardano. Cosa apportano alla notizia le immagini trasmesse in questi giorni, spezzoni amatoriali che ritraggono Yara impegnata in gare di ginnastica artistica, circondata da compagne altrettanto minorenni e altrettanto indifese? Nulla. Non mi riferisco, sia chiaro, solo a Bruno Vespa, che per primo ha diffuso i video, ma a tutti quei siti internet che li hanno pubblicati lavandosi la coscienza con un semplice "Bruno Vespa è brutto e cattivo, guardate qui cosa manda in onda!"  Leggendo un articolo su un blog indipendente, esattamente come questo, mi sono imbattuta nella seguente affermazione "Il video in questione che poteteguardare qui, ritrae la piccola mentre svolge alcuni esercizi di ginnastica all’interno della palestra di Brembate di Sopra. Noi abbiamo deciso di non pubblicare il video, ma di rimandarvi al link che abbiamo postato più in alto.Il problema di fondo è l'ipocrisia con cui si mescolano le parti in gioco, facendo sembrare lecito e morale ciò che lecito e morale non è, come se addossando tutta la colpa ad un altro, la propria, di colpa, si azzerasse. Al di là dell'aspetto puramente legale, cui faranno fronte i diretti interessati, bisogna considerare anche la scelta irrispettosa di alcuni siti o blog in cui, accanto alla notizia di Yara, o Sarah, o tante altre vittime meno  popolari e sfruttabili, si affianca, in alcuni casi addirittura si associa, il link ad uno sponsor, spesso inopportuno,  a volte con donne discinte che pubblicizzano chat erotiche e quant'altro. Certo, a scrivere senza banner non si guadagna un euro, ma il rispetto del prossimo non ha un prezzo, mai.  Barbara Greggio

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